lunedì 6 agosto 2018
Nonostante il clima negativo sono in tanti quelli che si sforzano di costruire ponti. L’efficacia dei piccoli progetti contro il rischio di una deriva verso nuovi ghetti
Fianco a fianco, insieme. L'integrazione dei migranti è giovane
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(di Diego Motta) Dove non vince la paura, dove razzismo è una parola sconosciuta, i processi di integrazione avanzano. Lentamente, tra fatiche e difficoltà che nessuno nega. Eppure avanzano. Ci sono luoghi, sul nostro territorio, che sono laboratori e palestre importantissime: di conoscenza reciproca, di collaborazione, di incontro. Dalle scuole agli Sprar, dagli oratori agli spazi di aggregazione condivisi, ci sarebbe un’altra cronaca da fare tutti i giorni: è quella che riguarda migliaia di progetti che vedono protagonisti Comuni, parrocchie, cooperative, uomini di Stato ed eroi del quotidiano. In campo per avvicinare due mondi, per far lavorare fianco a fianco italiani e stranieri. Una differenza, quella della provenienza geografica, che ad esempio non vale agli occhi dei bambini, di tanti adolescenti e dei giovani, come testimonia la storia che pubblichiamo qui sotto: l’integrazione è anche occasione per crescere insieme, nella formazione e nell’apprendimento della nostra lingua, nelle attività culturali e in quelle ludiche.

Il resto lo dicono i numeri: a luglio erano 877 i programmi attivati dai sindaci per la presa in carico dei richiedenti asilo, 144 dei quali riguardavano minori non accompagnati, per oltre 35mila posti finanziati dal sistema Sprar e più di 1.200 municipi coinvolti. Molto fa anche la Chiesa, con 139 diocesi attive nell’ospitalità dei profughi e 25mila persone accolte dalle parrocchie. Si può fare di più? Certamente sì, nella speranza ovviamente che si vada nella direzione di una microaccoglienza diffusa (i progetti Sprar, in questo senso, vanno presi a modello, a differenza della gestione demandata alle Prefetture dei Cas). No a nuove maxi-strutture in cui ammassare migranti che non si conoscono, no a nuovi ghetti annunciati solo allo scopo di mantenere alta la tensione sociale: sì invece alla responsabilizzazione delle comunità, unico e vero antidoto alla propaganda facile dell’odio e del rancore.

(di Marco Pappalardo, Catania) «Chi è accolto, accoglie» è il motto della Colonia Don Bosco di Catania, centro di prima accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, che si trova sul litorale Playa, immerso nella vegetazione mediterranea.

Chi arriva, sin dall’ingresso, si rende subito conto che il motto è una realtà, poiché i bagnanti sono avvolti da un clima multietnico sereno e festoso. Da alcuni anni, grazie all’Associazione Don Bosco 2000, è aperto in tutte le stagioni, come è stato aperto il cuore di Don Bosco ai ragazzi che, nella seconda metà dell’Ottocento, giungevano a Torino lasciando le campagne piemontesi e le loro famiglie.

Al momento ci sono 36 minori su una capacità di 60 posti e provengono da Gambia, Guinea, Eritrea, Somalia, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Mali e Nigeria. «Qui facciamo un’accoglienza a 360 gradi – afferma Cinzia Vella, coordinatrice e psicologa del centro –. Non solo dei migranti, ma di gruppi di persone disabili, di famiglie con disagio socio-economico, di bambini ed animatori di vari gruppi. Ci si sperimenta in quella che abbiamo ribattezzato la "Cittadella della diversità", dove è possibile convivere come i colori dell’arcobaleno, in armonia pur essendo diversi. Ogni incontro e scambio con i giovani del territorio è utile per favorire l’integrazione, particolarmente nelle attività ludico-ricreative con i coetanei».

Basta guardarsi un po’ intorno per vedere che i ragazzi sono coinvolti nei momenti di animazione, dallo sport alla musica fino alle arti manuali, proposti ai gruppi e alle famiglie. Il centro è pure un presidio del Volontariato internazionale per lo sviluppo, un’organizzazione non governativa che organizza iniziative di sensibilizzazione, soprattutto nelle scuole con il progetto "Io non discrimino".

I minori sono inoltre accompagnati nel percorso tramite una fitta rete di istituzioni ed associazioni con possibilità di crescita e confronto con la realtà locale, specialmente attraverso l’inserimento scolastico, lo studio dell’italiano e lo sport. Attività cruciali, in un momento di crescita decisivo per chi ha meno di 18 anni: per questo, il ruolo di tanti volontari italiani, in molti casi coetanei dei ragazzi stranieri, è strategico e lo dimostrano tanti risultati di integrazione felice raccolti sul territorio. Senza dimenticare, ovviamente, le difficoltà che il sistema Sicilia presenta (e che Avvenire ha spesso documentato) sulla capacità di reggere il peso di molti minori stranieri non accompagnati, che avrebbero bisogno di tutor adulti difficili da trovare.

«Prendendo atto della situazione di vulnerabilità dei minori – riprende la coordinatrice del progetto di Catania – siamo dotati di una équipe preparata e attenta ai bisogni. I volontari provengono non solo dall’Italia, ma da altri Paesi europei ed oltre, attualmente due suore e quattro giovani laici dal Belgio per imparare e riproporre quanto sperimentato».

Insomma, c’è sempre fermento e ci sono tante attività vissute in un clima familiare, come le serate estive multietniche del giovedì con musiche, danze, cibi, abiti dei diversi Paesi di provenienza.

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