«Incentivi alle nascite, ma con sguardo più lungo»
giovedì 4 gennaio 2024

Nonostante sembri diffondersi la leggenda metropolitana che dipinge i nostri giovani come eterni irresponsabili, l’esperienza maturata negli ultimi anni sul campo mi induce ad affermare che vi sia il desiderio di paternità e maternità nei nostri giovani. Purtroppo spegniamo ogni loro diritto a sognare, a far sì che i loro desideri diventino realtà. Alcune proposte le abbiamo, ma c’è bisogno di statisti e non di politici.



La politica dei bonus è un oltraggio perpetrato ai danni delle famiglie italiane; è un continuo vilipendere la Costituzione Italiana, specie agli articoli 29, 30 e 31. Occorre salvaguardare i diritti, non le “gentili concessioni”. Ridurre il welfare a continue elargizioni di “jolly” è davvero avvilente. La domanda che sorge spontanea è: il mancato intervento strutturale, fino a oggi, è stato dovuto a superficialità, ignoranza del tema, politica del “last minute”? È lecito guardare alle esigenze delle coppie, delle donne che vorrebbero crescere professionalmente, pur non rinunciando alla naturale vocazione al “prendersi cura”?



Premesso che l'Italia è tra i Paesi sviluppati che si trovano oggi a fronteggiare uno scenario demografico il cui impatto sulla crescita del prodotto pro capite nei prossimi decenni sarà negativo, evidenzierei come la contrazione della natalità e della mortalità, quest'ultima legata a un innalzamento dell'aspettativa di vita, hanno inciso sulla struttura per età della popolazione, determinando un lento e progressivo invecchiamento della stessa, causando il calo del Prodotto interno lordo che nel medio-lungo termine potrebbe significare un'ulteriore precarietà e incertezza per i lavoratori del Paese.



Se si considera la fertilità della donna, si può affermare che è massima nel periodo compreso tra i 20/25 anni, ma paradossalmente si deve constatare che quelle che aumentano (4%) sono le gravidanze attorno ai 40 anni, proprio quando si registra un impoverimento del patrimonio ovarico. Questi concetti riconosciuti universalmente, non sono chiari nella popolazione che tende a sovrastimare la fertilità della donna. Recenti studi evidenziano come la nascita di ogni nuovo figlio produca un significativo effetto benefico sull'economia del Paese, poiché costituisce un importante fattore di stimolo alla produzione di una vasta gamma di beni e servizi destinati alla cura e alla crescita del bambino e del futuro cittadino, con un'incidenza complessiva sul prodotto interno lordo stimata in circa 35.000 euro annui per ogni nuovo nato. Se si pensa che negli ultimi 11 anni si sono registrate 142.000 nascite in meno la perdita in termini di Pil si è attestata nell'ordine di 4.970.000.000 di euro (dati del 2019). Aggiungiamo, inoltre, che il progressivo spopolamento oggi si registra proprio in quelle aree che presentano criticità per assenza di infrastrutture e servizi essenziali, per cui l’elemento infrastrutturale assume un’importanza spesso sottovalutata.



E che dire della “generazione core”, ovvero dei giovani di età compresa tra i 19 ed i 39 anni, “costretta” a emigrare per motivi di studio o lavoro, quella che rappresenta un “moltiplicatore” per ogni Paese, in quanto, se inserita nel mondo lavorativo, produce beni e servizi, destinando quote consistenti ad acquisti (casa, automobile...), generando figli e stimolando, in tal modo, l'indotto? Quali possibili soluzioni potrebbero esser attuate, all’interno di un progetto composito che investa i vari ministeri?



Occorre destinare almeno lo 0,9% del Pil nazionale, fuori dai parametri fiscali ordinari, alle politiche di welfare familiare; prevedere la proposta opzionale del congedo parentale, non imposto ma frutto di una libera scelta in seno alla coppia, che rappresenta, il cuore della questione, che probabilmente una “politica al maschile” stenta a riconoscere. Un imprenditore, qualora dovesse assumere una nuova risorsa umana nella propria azienda, a parità di competenze e conoscenze, tra un uomo e una donna chi sceglierebbe, oggi? La risposta immagino sia tanto intuitiva quanto condivisa. Per tale ragione, se eliminassimo l’elemento discriminatorio, nell’ottica della produzione aziendale, ecco che porremmo realmente uomo e donna sullo stesso piano. Se una donna potenzialmente in età fertile può rappresentare un pericolo, in ambito lavorativo, per un’eventuale gravidanza, col congedo parentale fino ai tre anni di età del bambino, con retribuzione all’80% per i primi due anni e al 60% il terzo anno, spendibile anche dal padre, in alternativa alla madre, la dirimente tra l’assunzione di un uomo rispetto a una donna verrebbe a cadere.



Altro motivo per cui le coppie posticipano la possibilità di avere un figlio, riguarda il ciclo di studi, sia scolastico che universitario, che andrebbe rivisto. Occorrerà rivedere il sistema di calcolo dell'Isee, al fine di considerare il reddito netto effettivamente a disposizione delle famiglie in luogo di quello lordo e rimodulando i parametri di calcolo del patrimonio familiare e la scala di equivalenza a favore di alcune categorie di soggetti (famiglie numerose, famiglie con figli in tenera età, nuclei monogenitoriali e diversamente abili). Occorrerà ridurre dal 22 al 5% il valore dell'Iva per l'acquisto dei beni per l'infanzia oltre ad adottare piani socio-sanitari per prevenire l'insorgenza di condizioni patologiche in grado di compromettere la possibilità di procreare, promuovendo campagne informativo-formative sul piano sanitario, socio-psico-pedagogico ed economico. Importante potrebbe essere l’introduzione di un sistema di esenzioni dai costi di compartecipazione per l'accesso alle prestazioni sanitarie rientranti nei livelli essenziali di assistenza (Lea) per le famiglie in cui siano presenti almeno due figli.



Non ultimo, occorrerà assumere ogni iniziativa di competenza, per garantire la piena attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, al fine di attuare i primi articoli, aumentando le “culle in anonimato” e potenziando il numero di consultori familiari. Personalmente su questo tema ritengo si debba riaprire il dibattito.


Da decenni non percepisco più governi coraggiosi, che facciano riforme sostanziali e non formali, come ancora siamo costretti ad assistere, un po’ alla maniera tomasiana (“cambiare tutto, per non cambiare niente”). Ma la speranza è l’ultima a morire, e i presupposti sembrerebbero confermarlo.



Senatrice XVIII Legislatura


Responsabile Nazionale UdC Scuola, Famiglia e Affari Sociali


Membro Cts Famiglia, Affari Sociali e Lavoro Regione Siciliana


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