venerdì 27 maggio 2011
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Le elezioni per il Comune sono un po’ la cartina di tornasole di una crisi morale e culturale dell’antica capitale del Meridione. Crisi che è innanzitutto di classe politica, come dimostra la circostanza che tutti e quattro i candidati siano stati scelti al di fuori dei tradizionali circuiti di partito: Lettieri è  imprenditore, De Magistris pm, Morcone prefetto e Pasquino ex rettore. Questa sorta di «esternalizzazione», che attesta una perdita di credibilità, non deve però illudere sulla perdita di peso del ceto politico nella vita napoletana: tutti i candidati, chi più chi meno, hanno o avevano dietro poteri, apparati, forze e interessi consolidati. L’inconsueto ballottaggio tra l’industriale targato Berlusconi e l’ex procuratore d’assalto a capo di una inedita coalizione Idv-Rifondazione sembra davvero aver spaccato la città. A cominciare dai partiti. Il Pd, dopo essersi prima diviso alle primarie e poi sull’appoggio a Morcone, ora è diviso su quello a De Magistris; mentre nel Pdl va in scena, sia pure sotto traccia, l’eterno duello tra il governatore Caldoro – accusato più o meno velatamente di fare poco per Lettieri – e il potente coordinatore regionale Cosentino. Ma spaccati sono anche gli imprenditori, con l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato che ha detto chiaramente di preferire l’ex pm. E gli intellettuali. Basti pensare che molti appartenenti della sinistra riformista, hanno praticamente «sconfessato» Umberto Ranieri, esponente migliorista di lungo corso, per il suo incondizionato appoggio a De Magistris. Che, in passato, non ha risparmiato pesanti critiche al capo dello Stato Giorgio Napolitano, nume tutelare dei riformisti partenopei. All’ombra del Vesuvio va però anche in scena una decisiva puntata della intricata partita politica nazionale. Berlusconi si gioca, in queste elezioni, parte della sua fama di «risolutore» di problemi. Fu proprio a Napoli, nell’ottobre di due anni fa, che il «governo del fare» realizzò uno dei suo «miracoli» più riusciti: quello di far sparire in pochi giorni dalla città i cumuli di immondizia. Il Pdl sperava in un trionfo, dopo la perdita di credibilità verticale della giunta Jervolino. Ma oggi nel quartier generale di Lettieri, ma anche a Palazzo Grazioli, girano previsioni per nulla confortanti. Nel campo avverso sembra giocarsi una partita diversa, ma di eguale intensità: quella delle possibili alleanze del Pd alle prossime elezioni politiche. Una vittoria netta di De Magistris complicherebbe la vita a quelli che, all’interno del Pd, stanno pensando a una alleanza con il Terzo polo, divorziando dall’Idv e dalla sinistra radicale.«Complessivamente – commenta il costituzionalista cattolico Michele Scudiero, per lunghi anni preside di Giurisprudenza della Federico II – è stata una brutta campagna elettorale: i programmi sono rimasti in sordina e salvo la questione dei rifiuti, si assomigliano. Tanto che è difficile parlare di destra e sinistra. Mentre il confronto si è spesso risolto in rissa con attacchi personali». Per esempio, aggiunge Scudiero, «non ho mai sentito parlare di ristrutturazione amministrativa della città. Napoli è una metropoli fortemente disomogenea, una città con più città. Basti pensare alla differenza tra i cosiddetti quartieri alti e le zone popolari e degradate. Così come i servizi sanitari: abbiamo dei centri di cura e di ricerca d’eccellenza e altre strutture ben sotto lo standard nazionale ed europeo. Non si possono avere ricette uguali per tutte le zone, sarebbe stato coraggioso proporre qualcosa di fortemente innovativo». Ma la responsabilità, dice ancora Scudiero, è anche degli intellettuali napoletani: «Il ceto intellettuale è formato da persone di altissimo livello, ma che non comunica con il ceto politico, anche a causa delle infiltrazioni camorristiche. Ha paura di sporcarsi e dunque vive in uno splendido e sterile isolamento». Lucio D’Alessandro, professore di Sociologia giuridica, è stato due giorni fa nominato rettore della prestigiosa università Suor Orsola Benincasa, uno dei tanti fari di cultura che illuminano Napoli. Dal suo ufficio, da cui si domina un panorama mozzafiato sul Golfo e sul Vesuvio, commenta con un po’ di amarezza: «Napoli è una città, ormai, che fa tanto parlare di sé, per la malavita, per l’immondizia, ma che non comunica più: come se avesse smarrito la sua vocazione di grande capitale. Basti pensare al caso del “Mattino”, il grande giornale di Scarfoglio e Matilde Serao: ha degli editori che non sono napoletani, per il disinteresse o l’incapacità degli imprenditori locali. In questa campagna elettorale mi sembra che sia mancata un’idea forte di città: il suo ruolo nell’Unione Europea, il suo contributo alla nazione, il suo posto nel Sud e nel Mediterraneo sono rimasti in ombra. Viene quasi da rimpiangere gli anni in cui Napoli e la Campania esprimevano, nel bene e nel male, buona parte della classe politica nazionale: Gava, Scotti, De Mita, Bianco, Pomicino, Maccanico, Di Donato, Di Lorenzo». Sui due candidati rimasti in lizza dice: «Da una parte c’è entusiasmo e questo va sicuramente a merito di De Magistris. Però l’ex pm è esprime una cultura e dei valori antagonisti che Napoli nel suo complesso non condivide. Dall’altra parte Lettieri sembra offrire più garanzie di esperienza, ma propone un programma di benessere molto “materiale”: una speranza fatta di opere pubbliche, strutture, realizzazioni, senza il necessario colpo d’ala che rimetta in moto le tante energie positive disperse che esistono in città». Paolo Macry, ordinario di Storia contemporanea alla Federico II e editorialista del “Corriere del Mezzogiorno”, vede invece come fumo negli occhi quello che qualcuno chiama «il laboratorio napoletano». «Io per fortuna – spiega – non voto qui. Ma non posso non segnalare l’anomalia napoletana. In un contesto di normalità un centrosinistra invischiato da dieci anni in immobilismo e clientele, meriterebbe di stare fermo un giro. Qui invece cosa è successo? Che il candidato del Pd esce di scena per colpe non sue. E alla sua sinistra spunta un tale che in nome della protesta e della rottura, potrebbe diventare sindaco con i voti di chi ha amministrato male, portando in Comune una maggioranza di consiglieri composta soltanto da Idv e Rifondazione. Senza nulla togliere al carisma di De Magistris, che ha portato in una città spenta un po’ di passione civile, vorrei dire che chiunque si fosse presentato affermando di essere contro tutti e tutto a Napoli avrebbe preso una barca di voti. E questo fa capire perché continuo a essere pessimista nel futuro di questa città».
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