mercoledì 26 agosto 2009
Capece (Sappe): «La situazione penitenziaria è incandescente, le manifestazioni sempre più violente». Contestanzione nella casa circondariale toscana: i detenuti danno fuoco a stracci e cuscini. E a Sollicciano continua la protesta civile per il sovraffollamento nelle celle.
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Con la calura estiva che arroventa le celle e il sovraffollamento che in­fiamma gli animi basta una goccia a far traboccare il vaso. La goccia che non c’è: nella casa circondariale di Pisa manca l’ac­qua – una situazione che si è più volte ri­petuta nel corso degli ultimi mesi – e i detenuti pro­testano violentemente. Lunedì sera, intorno alle nove, circa duecento persone del reparto giudizia­rio, la metà degli ospiti del “Don Bosco”, hanno mes­so in scena la protesta, dapprima sbattendo ogni oggetto che capitasse loro a tiro contro inferriate e cancelli, poi dando fuoco a stracci e cuscini, infine lanciando nei corridoi bombolette di gas, bottiglie ed escrementi. Gli agenti di polizia penitenziara hanno impiegato due ore per ristabilire l’ordine: «La situazione è sempre più in­candescente – ha dichiarato Do­nato Capece, segretario genera­le del Sappe il Sindacato Auto­nomo Polizia Penitenziaria – e ormai ogni giorno registriamo manifestazioni e proteste di de­tenuti sempre più violente». Serve una nuova politica della pena, un ripensamento organi­co del carcere e dell’istituzione penitenziaria: «In quale carcere si verificherà la prossima rivol­ta? Bisogna prevedere un maggior ricorso alle mi­sure alternative alla detenzione – prosegue Cape­ce – e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici». Co­me il braccialetto elettronico che in molti Paesi eu­ropei ha dato risultati indubbiamente positivi: «Le istituzioni e il mondo della politica – conclude il segretario del Sappe – non possono più stare a guar­dare, devono agire concretamente». Che gli impianti idraulici del “Don Bosco” non sia­no al massimo dell’efficienza è già chiaro da tem­po: il carcere deve pagare al gestore dell’acquedot­to «bollette per alcune centinaia di migliaia di eu­ro – ricordava non più tardi di una settimana fa An­drea Callaioli, il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Pisa – probabilmente a causa di grosse perdite dagli impianti, di cui nessuno si era accor­to e che si verificavano in un’ala ora in ricostruzio­ne». Urgono – soprattutto per questo i detenuti so­no in rivolta – opere di manutenzione e restauro del­l’immobile. Continua – seppur in modo assolutamente civile – anche la protesta nel carcere di Sollicciano, a Fi­renze, cominciata il 18 agosto per denunciare l’ec­cessivo sovraffollamento delle celle e per conte­stare la gestione complessiva dei posti nelle case cir­condariali in Toscana. Una gestione «demenziale» secondo la definizione di Franco Corleone, garan­te dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. La protesta è rumorosa ma innocua dato che gli ospi­ti dell’istituto di pena si limitano a sbattere ogget­ti tra i più vari contro le sbarre delle celle. Corleo­ne è stato in visita a Sollicciano lunedì: «C’erano 955 detenuti più sette bambini – spiega – a fronte di una capienza da 447 posti. Oggi è previsto un incontro tra la direzione e una folta rappre­sentanza dei detenuti che han­no preparato un documento nel quale elencano le loro richie­ste ». In questo clima di precarietà e di tensione non sono rari i gesti e­stremi e lunedì pomeriggio un detenuto quarantaseienne ori­ginario di Roma si è impiccato nel carcere di Frosinone: ha ri­cevuto una lettera dalla fidanzata – raccontano i compagni che hanno cercato inutilmente di soc­correrlo – e subito dopo averla letta si è suicidato. L’uomo era recluso in una cella della sezione tossi­codipendenti del carcere. Nella struttura del capo­luogo ciociaro sono attualmente ospitati 480 re­clusi. «Questo episodio – ha dichiarato Angiolo Mar­roni, garante dei diritti dei detenuti del Lazio – è frutto della tensione che si respira in tutte le car­ceri d’Italia, sovraffollate oltre ogni limite. A questo si aggiungono anche le difficoltà del periodo esti­vo, con il gran caldo e le ridotte attività di socializ­zazione e di supporto. Un ripensamento del siste­ma carcerario è necessario. Non è solo con nuove carceri – conclude Marroni – che si può pensare di risolvere questo tipo di emergenza sociale».
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