sabato 13 aprile 2013
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Silenzio, si protesta. Chi si aspettava gesti di ribellione clamorosa dall’incontro della Piccola Industria apertosi ieri a Torino, è servito: ecco la rabbia muta di migliaia di imprenditori. Tutti in piedi, senza parole, perché «per noi vedere una fabbrica che chiude è come avere un lutto in famiglia», ha spiegato il presidente Vincenzo Boccia chiedendo un minuto di raccoglimento «per quanti non ce l’hanno fatta e per chi continua a resistere. Questo è un silenzio di denuncia per chi non ascolta, per chi non reagisce, per chi non interviene». Oltre 4.200 aziende hanno già chiuso dall’inizio dell’anno, la disoccupazione è fuori controllo e colpisce soprattutto i più giovani, visto che a causa della recessione 1,7 milioni di persone tra i 15 e i 44 anni hanno perso il posto. In 6 anni abbiamo lasciato per strada 8 punti di Pil, in 16 il manifatturiero ha visto andare a picco il 25% della produzione.È cambiata l’Italia e forse siamo solo all’inizio se è vero, come ha spiegato il direttore del Centro studi di Viale dell’Astronomia, Luca Paolazzi, che «questi per il nostro Paese sono i decenni peggiori. La competizione non si fa più tra i singoli Stati, ma tra grandi aree economiche» e tra 50 anni rischiamo seriamente di diventare un’economia arretrata, superati non solo da Cina e Brasile, ma anche da Turchia e Polonia. Il fronte di battaglia quotidiana per i "piccoli" resta innanzitutto quello interno, con la desertificazione industriale che avanza e 70mila aziende chiuse dal 2007 a oggi. «Il tempo è scaduto», ha ripetuto Boccia, che ha bocciato i partiti, «vecchi e nuovi, indifferenti alla situazione di emergenza economica e ai gravi danni che il Paese subisce». La sfida adesso si disputa su un altro terreno, quello delle relazioni sindacali, e da lì è arrivata la vera novità politica di giornata, anticipata peraltro dalle dichiarazioni del leader degli industriali Giorgio Squinzi. Il cambio di marcia che viene da Torino riguarda l’unità di intenti tra le parti sociali. «Nel momento più difficile della storia della nostra Repubblica, abbiamo il dovere e la responsabilità di stringere un Patto dei produttori», ha detto il numero uno della Piccola Industria. Solo «insieme», è questa la parola-chiave che gira per i padiglioni del Lingotto Fiere, si possono salvare le fabbriche, «che sono piazze di rivoluzionari silenziosi, di lavoratori e imprenditori che con il loro lavoro di ogni giorno difendono le libertà dei loro figli», ha spiegato Boccia. Un accordo che valorizzi e ascolti le esigenze di tutti gli attori, all’insegna dell’obiettivo un po’ ambizioso di una nuova «rivoluzione industriale».Messi all’angolo dalla mancanza cronica di liquidità, dovuta ai ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, gli industriali puntano a rimettere al centro la produzione e dichiarano guerra allo strapotere della finanza. Per questo promuovono la Tobin Tax, che pone un freno alla speculazione e chiedono programmi per ricapitalizzare il tessuto produttivo. L’obiettivo è un aumento del Pil di oltre il 3%, la creazione di 1,8 milioni di nuovi posti di lavoro e l’abbattimento del debito in rapporto al Pil dall’attuale 129% al 103%. «Non si può più aspettare, nemmeno un’ora – ha detto aprendo la kermesse, Licia Mattioli, presidente dell’Unione industriale di Torino –. Bisogna fare subito, adesso». È significativo che a schierarsi dalla sua parte, alla fine, sia stato proprio Corrado Passera, esponente di un governo che da queste parti hanno probabilmente smesso di amare molto presto. «Condivido l’insofferenza e l’indignazione per i tempi della politica che nulla hanno a che fare con i tempi dell’economia reale», ha dichiarato il ministro. Molti, in platea, annuivano.
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