venerdì 24 aprile 2015
​Progetto sperimentale di Caritas e Ciac per un gruppetto di rifugiati in Italia da tempo. I padroni di casa riceveranno un contributo di 300 euro al mese.
COMMENTA E CONDIVIDI
​​A Parma da maggio cinque famiglie apriranno casa a un profugo. Altre lo faranno nel giro di poche settimane, al massimo un mese. Una scelta in controtendenza in un'Italia dove i prefetti sventolano lo spettro della requisizione per vincere certe resistenze ad accogliere i rifugiati dalla Libia. È un progetto che vuole avere anche una valenza culturale perché, per dirla con la responsabile del progetto Chiara Marchetti, "è vera integrazione". I rifugiati "andranno in famiglie vere, con lavoratori precari, bambini, gente cha fa orari impossibili. Non sono famiglie da Mulino Bianco". Ogni famiglia prenderà 300 euro al mese. Ma dovrà presentare i giustificativi delle spese. "Servono a coprire le spese vive. Abbiamo scelto volutamente una cifra contenuta perché per noi la cosa che muove le persone non deve essere il denaro. E nessuno si è mosso per quello", aggiunge la responsabile del progetto. L'accoglienza in famiglia è frutto di un progetto di Ciac (Centro immigrazione, asilo e cooperazione internazionale) e Consorzio Communitas della Caritas. Un piano sperimentale che però fa parte di Sprar, il sistema di protezione per i richiedenti asilo del Ministero dell'Interno. Si tratta di seconda accoglienza, e quindi in questo modo non potrà essere accolto nessuno dei profughi arrivati negli ultimi giorni sulle coste italiane. I ragazzi che andranno a vivere in famiglia sono infatti ben conosciuti dal Ciac, hanno già fatto un percorso in Italia, con corsi di italiano e soprattutto sono in possesso di titoli per rimanere in Italia. Potranno stare in casa per massimo 9 mesi. L'obiettivo è il loro completo inserimento. Per aiutare loro, e le famiglie che li accolgono, ci saranno figure di sostegno, come una psicologa. E se qualcosa andrà male nelle convivenza, il rifugiato potrà sempre tornare nella rete tradizionale. Angela è un ragazza di 33 anni che vive in cohousing con tre amici, e nella loro grande casa di Fidenza accoglieranno a breve uno dei rifugiati. Mette subito in chiaro quale parte abbia avuto il denaro nella loro scelta: "i soldi sono stati assolutamente una spinta, non erano proprio nel nostro orizzonte. Vogliamo essere attivi, facciamo scelte quotidiane di sostegno al territorio, e con questo progetto vogliamo essere al servizio di chi sta vivendo un momento di difficoltà". E l'unica paura che ha, "è non dare il giusto sostegno a questa persona. Lavoriamo tutti, siamo sempre fuori. Ma per questo ci siamo messi insieme: siamo in quattro, se non arriva uno, arriverà l'altro".
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: