domenica 27 giugno 2010
Nelle case abusive costiere stipati quasi 12mila braccianti. La crisi li ha riportati in Campania da mezza Europa. In prima fila è rimasta la Chiesa. Avamposto della speranza il centro di accoglienza "Fernandes", accusata di buonismo dall’inerte amministrazione comunale.
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La piccola Africa sta scoppiando. Nelle terre di Gomorra alla vigilia della stagione dei pomodori, dopo i lavoratori fuggiti da Rosarno, la crisi ha riportato molti nigeriani e ghanesi da Spagna e Nord Italia a Castel Volturno, trasformata dai clan dei casalesi in ghetto e serbatoio per spaccio e prostituzione.In prima fila è rimasta la Chiesa. Che, in una situazione di emergenza costante da almeno 15 anni, si prodiga con la generosità di volontari e operatori nonostante le accuse di "buonismo" dell’inerte amministrazione comunale. Anzitutto al famoso centro di accoglienza "Fernandes", avamposto della speranza della Caritas diocesana di Capua. Un’oasi nello squallore della Domiziana, strada di spaccio e prostituzione con 500 nigeriane vittime di tratta. Preso d’assalto, con la gente costretta a dormire fuori, ospita ogni giorno 75 persone, 400 pasti, docce, degenza post ospedaliera, propone attività di alfabetizzazione e mediazione culturale col supporto quasi esclusivo di volontari e fondi della Diocesi. Qui operano lo sportello legale del patronato Acli e l’associazione di medici volontari "Jerry Masslo" cui va aggiunto l’impegno delle parrocchie e dei missionari Comboniani e delle diverse ong. Secondo un rapporto stilato ad aprile per il Viminale dallo Iom, l’organizzazione internazionale dei migranti dell’Onu, gli immigrati in città, su 23mila abitanti, erano 8mila, 3500 dei quali ghanesi, altrettanti nigeriani oltre a quote minoritarie di liberiani, togolesi, ivoriani e burkinabè. Ma chi opera nell’accoglienza, Acli e Caritas, due mesi dopo ne stima 10-12mila. Basta girare per le villette malmesse e sovraffollate di Destra Volturno per capire che i numeri qui cambiano troppo in fretta. Si entra solo di giorno e i bianchi sono una rarità. Le vie anonime e rotte del rione-ghetto, dove i cani randagi assaltano i cassonetti dei rifiuti stracolmi, sono prive di auto, gli abitanti non possono permettersele. Unici punti di aggregazione, le sale di culto pentecostali, ricavate in negozi dismessi. Nel quartiere "sgarruppato", un letto si trova sempre. A 50, 75 ,o 100 euro al mese, dipende dal numero degli inquilini. Rendono a quei proprietari italiani che non si fanno troppi scrupoli (e poi sfilano contro i migranti) circa 1000 euro mensili in nero. Non tutte hanno acqua, fogna e luce. La costa è stata scempiata negli anni 70 da 12mila abitazioni, secondo Legambiente abusive. La speculazione edilizia ha inquinato il mare, il turismo è declinato e le case sono rimaste vuote. Nel 1980 le hanno riempite i terremotati sfollati da Napoli. Agli inizi degli anni 90 è toccato agli immigrati. Che, reclutati all’alba dai caporali, vanno a lavorare 11 ore per 20 - 25 euro in nero nei frutteti dell’Agro Aversano o nei campi a Villaricca, Varcaturo e Villa Literno, a raccogliere pomodori e ortaggi. «Molti sono regolari -spiega Fouad Kerrit, prezioso mediatore culturale tunisino dello sportello Acli che offre assistenza legale al centro "Fernandes" - con un permesso umanitario o sono richiedenti asilo, ma tutti con lavori irregolari in agricoltura. Peggio di tutti stanno gli indiani "invisibili" delle aziende bufaline, quelle che fanno mozzarelle». Costretti secondo lo Iom a vivere segregati nelle stalle con le bestie, sottoposti a estenuanti orari di lavoro.Chi non ce la fa chiede aiuto al "Fernandes", dove un poster ricorda la grande cantante sudafricana nera Miriam Makeba, "mama Afrika", morta d’infarto dopo un concerto a Castel Volturno e che passò qui l’ultimo giorno della sua vita il 9 novembre 2008. «Siamo stati lasciati soli dalle istituzioni locali che in più ci attaccano - denuncia con pacatezza il direttore, Antonio Casale - perché sostengono che la nostra carità attira gli immigrati. Che invece vengono perché sanno che qui ci si arrangia. Così crescono i disagi e non si investe sull’integrazione. Gli africani, se restano isolati, non imparano una parola di italiano. Noi facciamo la nostra parte 365 giorni all’anno per accogliere. Ma lo Stato deve riaffermare la legalità».«La situazione mi preoccupa - aggiunge il presidente delle Acli casertane Michele Zannini, leader nazionale anche di Acliterra - perché la recessione toglie lavoro agli italiani e si rischia che i braccianti romeni, i quali accettano paghe da 15 euro al giorno, estromettano pure gli africani. Temo guerre tra poveri. Eppure non mancherebbero le risorse agricole e turistiche. Ma serve legalità».La breccia può aprirla l’articolo 600 del codice penale sulla riduzione in schiavitù. Lo Iom, d’intesa con la Procura nazionale antimafia, ha chiesto alla magistratura locale di proteggere gli irregolari che denunciano gli sfruttatori, come fossero schiavi che si ribellano agli aguzzini. Una speranza per questa terra di nessuno «spolpata» cinicamente, come l’Africa.
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