mercoledì 10 aprile 2019
Alla deriva alla frontiera libica tunisina: 20 naufraghi, tra cui donne e bambini. Otto persone già disperse. I libici: «Continuiamo a salvare in mare». Le Ong: «Nessuna risposta delle autorità Sar»
AlarmPhone ha diffuso sui social la posizione della barca di legno in avaria. Venti persone a bordo, 8 disperse in mare: nessun intervento di soccorso finora

AlarmPhone ha diffuso sui social la posizione della barca di legno in avaria. Venti persone a bordo, 8 disperse in mare: nessun intervento di soccorso finora

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Dopo una giornata di terrore una piccola imbarcazione con 20 naufraghi (altri 8 erano già morti) è stata raggiunta dalla Guardia costiera libica, o meglio di una milizia libica attualmente alleata del governo di Tripoli riconosciuto dall'Onu. Lo scrive in un tweet "Alarm Phone" affermando che la conferma è arrivata dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma. Ma anche sottolineando come "Le 20 persone saranno riportate in una zona di guerra da una milizia finanziata dall' #UE. È una vergogna che questo respingimento illegale e disumano avvenga nell'indifferenza generale", aggiunge "Alarm Phone". In effetti appare davvero difficile continuare a sostenere che la Libia rappresenti un approdo sicuro. Eppure è come se il mondo intero si girasse per non vedere.

La giornata

Una barca alla deriva vicino alla frontiera libica tunisina con a bordo 20 naufraghi, tra cui donne e bambini. Otto persone sono cadute in acqua e sembrano disperse. Il motore non funziona e le persone a bordo sono lasciate a se stesse, nonostante dalle 6 del mattino la loro richiesta di soccorso sia stata rilanciata su tutti i social da AlarmPhone, il call center che rilancia gli SOS delle imbarcazioni in avaria nel Mediterraneo centrale e legato alla Ong Watch Med e inoltrata alle centrali di soccorso di Tunisi, Tripoli, La Valletta e Roma.

"Stiamo morendo, moriremo in mare, moriremo in Libia e in Tunisia. Se non arriviamo in Italia moriremo tutti". È la richiesta di aiuto di uno dei naufraghi ricevuta da AlarmPhone e rilanciata sulla pagina Twitter di Mediterranea Saving Humans. "L'unica speranza di queste 20 persone, tra cui donne e bambini, è arrivare in Europa. Vorremmo essere là per salvarli".

A distanza di poche poche ore una conferma dell'avvistamento della barca di legno con a bordo le 20 persone è arrivata dal piccolo aeroplano Moonbird della Sea-Watch che ha inviato una chiamata Mayday-Relay a tutti i mezzi presenti nella zona circostante.
Il risultato è stato che un aereo militare non identificato ha risposto lanciando una zattera di salvataggio. E ha invitato il velivolo della Sea Watch a contattare la Guardia costiera tunisina, come riportato su Twitter dalla Ong tedesca.

"Sono in corso sforzi per salvarli", ha sostenuto Ayob Amr Ghasem, il portavoce della Marina libica da cui dipende la cosiddetta Guardia costiera. Ghasem, contattato telefonicamente dall'Ansa, si è riferito esplicitamente all'SOS lanciato dall'imbarcazione con 20 migranti a bordo al largo di Abu Kammash, località situata a una ventina di km dal confine con la Tunisia.

Mentre la cosiddetta Guardia costiera libica ha fatto sapere che sta provando a salvare i naufraghi segnalati da AlarmPhone, Sea Watch informa su Twitter che "ci è stato comunicato dal velivolo dell'Unione europea di contattare il Rcc (Rescue Coordination Centre, ndr) in Tunisia, che ha detto ad AlarmPhone di non avere mezzi nell'area e che non riescono a raggiungere le autorità libiche". "Quando abbiamo chiamato - si legge ancora nel tweet - siamo stati messi in attesa dalla Tunisia e nessuno ha più risposto. Che si fa ora, Unione europea? Quante chiamate bisogna fare ancora prima che anneghino?". E stando a quanto riporta la Ong tedesca anche le richieste di aiuto e la disponibilità a intervenire fatte all'armatore Vroon e alle sue navi Vos Triton & Aphrodite non hanno avuto esito.

7° GIORNO IN MARE PER LA NAVE ALAN KURDI

Si trova sempre a poche miglia a Est di Malta, appena fuori dalle acque territoriali, la Alan Kurdi, nave della ong tedesca Sea-Eye, con 63 migranti a bordo recuperati davanti alle coste libiche mercoledì scorso. Martedì una giovane nigeriana che era collassata è stata trasferita a Malta, ma le autorità della Valletta non hanno finora concesso il porto sicuro alla nave umanitaria analogamente a quanto deciso dall'Italia.
Sempre martedì un'imbarcazione della Ong Moas è partita dall'isola per portare rifornimenti alla Alan Kurdi. "Il nostro obiettivo - spiega la direttrice di Moas, Regina Catrambone - è servire le comunità in crisi, come quella a bordo della nave Alan Kurdi, fornendo aiuti e assistenza. Siamo un'organizzazione apolitica che ha come unico obiettivo quello di aiutare chi ha bisogno".

TAVOLA VALDESE: «QUEI 10 PROFUGHI DELLA SEA WATCH NON ARRIVERANNO PIÙ IN ITALIA»

E mentre le 80 persone a bordo della nave Alan Kurdi vengono tenute in ostaggio a causa della mancanza di coordinamento da parte degli Stati europei sullo sbarco, il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Luca Maria Negro, e il moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini hanno preso atto pubblicamente che la quota di profughi soccorsi a gennaio dalla Ong Sea Watch, poi lasciati a Malta e annunciati in arrivo in Italia accolti dalla strutture della Chiesa valdese, non arriverà nel nostro Paese. Lo hanno fatto inviando una una lettera congiunta al presidente del Consiglio Giuseppe Conte il quale il 10 gennaio scorso aveva annunciato che “poco più di dieci persone” sarebbero arrivate in Italia accolte nelle strutture della Chiesa valdese “senza oneri per lo Stato”.
“Ma da allora – comunicano i due esponenti evangelici – nulla è accaduto. Dopo tre mesi di attesa, riteniamo che siano intervenuti accordi per cui i profughi, inizialmente destinati all'Italia, in realtà sono rimasti a Malta. In questi mesi abbiamo più volte ribadito la nostra disponibilità a farci carico dell’accoglienza – aggiungono Negro e Bernardini – . Ora prendiamo atto che la vicenda ha trovato una soluzione diversa da quella inizialmente prefigurata. Lo abbiamo comunicato formalmente al presidente Conte, cogliendo l’occasione per incoraggiare il governo a sostenere la buona pratica dei “corridoi umanitari” e anzi a rilanciarla in sede europea per garantire una via di accesso all'asilo, legale e sicura, per le decine di migliaia di profughi concentrati in Libia".

Il presidente della Diaconia Valdese, Giovanni Comba, ha espresso il suo “rammarico per la conclusione della vicenda", esprimendo il timore che, "in mancanza di un accordo chiaro tra gli stati dell’Unione Europea, i migranti siano considerate pedine di scambio fra i diversi paesi e non persone portatrici di diritti”.


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