venerdì 26 febbraio 2021
La fuga durante il processo ad Addis Abeba, dove era stato catturato un anno fa. Kidane ha torturato, stuprato migliaia di profughi e organizzò il barcone su cui nel 2015 morirono in 800
Il momento dell'arresto del trafficante Kidane (a sinistra)

Il momento dell'arresto del trafficante Kidane (a sinistra) - .

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Cronaca di una fuga annunciata. Uno dei più grossi trafficanti di esseri umani della Libia è evaso indisturbato durante il processo ad Addis Abeba. Kidane Zekarias Habtemariam, eritreo, conosciuto dalle sue numerose vittime e dagli inquirenti solo come Kidane, è un criminale pericoloso, spietato e sadico.

Secondo le testimonianze raccolte, ha sequestrato, torturato, picchiato e violentato per estorcere riscatti, uccidendo chi non pagava, migliaia di eritrei ed etiopi detenuti in condizioni disumane nei centri non ufficiali di Nesma, Swarif e Bani Walid, detta “città dei fantasmi” per i molti profughi imprigionati e uccisi. Inoltre, anche se non veniva processato per questo, è stato accusato dai superstiti di essere uno degli organizzatori del viaggio della morte del 18 aprile 2015, quando una nave con oltre 800 subsahariani a bordo naufragò al largo di Malta.

Era la barca nella quale morì il bambino maliano di 14 anni che viaggiava con la pagella che la mamma gli aveva cucito nel giubbotto, storia raccontata da Cristina Cattaneo, responsabile del Labanof di Milano che, quando il relitto venne recuperato il 7 maggio 2016 dal governo italiano (allora guidato da Matteo Renzi), lavorò all’identificazione delle vittime ad Augusta in Sicilia. Opera incompiuta per il numero incredibilmente elevato di corpi ammassati e schiacciati nell’affondamento come racconta il documentario italo francese, del 2019, '387', di Madeleine Leroyer e Cecile Debarge. Kidane è stato arrestato nella capitale etiope giusto un anno fa dalla polizia federale e dall’Interpol, dopo che – ironia della sorte – l’aveva riconosciuto proprio uno dei tanti migranti che aveva sequestrato in Libia, ritornato in Etiopia.

In prigione da un anno ad Addis Abeba, il boss è andato in bagno nel Palazzo di giustizia dove si stava celebrando giovedì scorso un’udienza del dibattimento a suo carico con l’uniforme arancione da detenuto. Qui i complici gli hanno fatto trovare abiti civili nuovi: con quelli è fuggito a piedi facendo perdere le proprie tracce. I poliziotti di guardia sono stati arrestati.

Secondo Sally Hayden, giornalista irlandese testimone al processo, che ha raccontato la cronaca dell’evasione annunciata del superboss su Vice.com, il trafficante ha tentato spudoratamente di corrompere i testimoni, come ha ammesso l’autorità giudiziaria, mentre le prove a suo carico stavano misteriosamente scomparendo dalle stanze della procura, il dibattimento procedeva a rilento e l’uomo non è stato trattato come un criminale di alto livello.

Attivo in Libia dal 2014 fino al 2019, Kidane era arrivato a chiedere tra i i 7.500 e i 10mila dollari per la vita dei prigionieri. Aveva iniziato la sua attività criminale trasportando gli eritrei in fuga dal servizio di leva a vita nel deserto egiziano del Sinai, dove vendeva i connazionali alle bande di criminali di beduini che li rapivano e uccidevano, asportando poi gli organi, chi non pagava il riscatto. Ora si teme che possa evadere il suo socio Tewelde Gojtom, noto come Walid, anch’egli eritreo, imprigionato pochi giorni dopo di lui nella capitale etiope con le stesse accuse. Anche quella, che interessa l’Italia, di aver organizzato il viaggio della morte dell’aprile 2015.

Nel processo ad Addis Abeba, secondo quanto racconta Hayden, sono emerse testimonianze dell’orrore che accadeva e probabilmente accade ancora nei lager non ufficiali sull’altra sponda del Mediterraneo. Walid, stupratore seriale di donne anche sposate e ragazzine, dichiarava di odiare i somali tanto da costringerli a imbarcarsi nei giorni di burrasca mentre i due complici a Bani Walid organizzavano partite di calcio tra squadre di prigionieri indeboliti dalla cattività. I perdenti venivano uccisi. Ricercati nell’Ue, solo l’Olanda ne ha chiesto formalmente l’estradizione.

Roma ha informalmente chiesto notizie, ma l’Etiopia non aveva intenzione di estradarli prima dell’espiazione dell’eventuale condanna. Secondo l’attivista e giornalista di origine eritrea Meron Estefanos, altra teste d’accusa, Kidane avrebbe lasciato in auto Addis Abeba, dal 2019 eldorado dei trafficanti libici, eritrei e sudanesi, alla volta dell’Uganda. Probabilmente da qui farà rotta su Dubai, dove le banche custodirebbero una fetta cospicua del suo patrimonio maledetto.

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