giovedì 6 maggio 2021
Indagine di Greenpeace nei quattro paesi europei - Italia, Germania, Spagna e Francia - maggiori produttori di armamenti. E l'80% degli italiani chiede anche una riduzione delle spese militari
Germania, febbraio 2020: attivisti di Greenpeace protestano contro l'arrivo via mare di armi per una esercitazione militare

Germania, febbraio 2020: attivisti di Greenpeace protestano contro l'arrivo via mare di armi per una esercitazione militare - Foto Greenpeace

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No alle esportazioni di armi verso governi autoritari, coinvolti in guerre o responsabili di violazioni dei diritti umani. Anche perché, a guadagnarci, alla fine non sono i cittadini, ma soprattutto le industrie. Sono gli orientamenti prevalenti degli abitanti dei quattro paesi europei maggiori produttori di armi. Italiani, tedeschi, spagnoli e francesi bocciano le politiche di esportazione dei rispettivi governi. E per l’Italia suona come una richiesta di applicare più rigorosamente la legge 185/90 sull’export bellico, viste le vendite di migliaia di bombe alla coalizione saudita in guerra con lo Yemen (bloccate solo a inizio anno) o delle due fregate Fremm consegnate nelle settimane scorse a La Spezia alla Marina egiziana di Al Sisi. Otto su dieci poi chiedono anche una riduzione delle spese per la difesa.


È quanto emerge dal sondaggio d’opinione condotto tra il 15 e il 19 aprile dall’istituto di ricerca britannico YouGov per conto di Greenpeace, che ha intervistato un campione statisticamente rappresentativo di popolazione di Italia, Germania, Germania, Francia e Spagna. E dunque la maggioranza ritiene che il proprio governo non tenga sufficientemente conto dei principi morali ed etici quando autorizza l’export militare. La pensa così il 65% degli italiani, il 61% degli spagnoli, il 60% dei tedeschi e ill 53% dei francesi. Italiani quindi i più contrari all’export di armi e alle spese militari.

Greenpeace pubblica i risultati del sondaggio a pochi giorni dall’invio al Parlamento della relazione governativa sull’export militare italiano, ai sensi della legge 185 del 1990. I dati confermano una tendenza avviata cinque anni fa, e cioè il sorpasso dei Paesi extra Nato-Ue tra le destinazioni delle nostre armi. Che finiscono soprattutto nelle zone a più alta tensione al mondo: Nord Africa e Medio Oriente.

«Se l’Europa vuole funzionare come progetto di pace, le esportazioni di armi devono essere regolamentate in modo più rigoroso», dice Chiara Campione, portavoce della campagna Restart di Greenpeace Italia. «Anche l’Italia - aggiunge - deve fare la sua parte, estendendo l’embargo, già imposto a bombe e missili diretti in Arabia Saudita e Emirati Arabi, a tutti i tipi di armamento e a tutti i Paesi coinvolti in conflitti o in violazioni dei diritti umani».

Ai cittadini dei quattro Paesi europei dunque non piacciono le esportazioni di armi soprattutto verso Stati autoritari, che violano diritti umani o sono coinvolti in guerre. Un italiano su quattro poi ritiene che il nostro Paese non dovrebbe esportare armi in assoluto. La maggioranza è contraria comunque anche alle politiche in tema di export congiunto dei sistemi d’arma europei, come i caccia di nuova generazione. Per il 76% degli italiani, (73% tedeschi, 69% spagnoli e 59% francesi) il governo non dovrebbe partecipare a progetti europei se «le armi prodotte in ambito comunitario venissero vendute a Stati dittatoriali, coinvolti in guerre o in violazioni dei diritti».

La maggioranza dei cittadini poi non vede alcun beneficio dalle esportazioni di armi. Alla domanda: «Chi nel suo Paese beneficia maggiormente delle esportazioni di armi?», solo una manciata di intervistati ha risposto «la popolazione» o «i lavoratori»: in Italia il 2%, in Spagna e Germania il 3%, in Francia il 4,5%. Per gli italiani, infatti, a guadagnarci sono essenzialmente «l’industria bellica» (55%) e «il governo» (22%). Plebiscitaria anche la richiesta di ridurre le spese militari: quasi l’80% degli italiani è per un taglio, solo un 2% le aumenterebbe. Netta anche la posizione di spagnoli (70%) e tedeschi (63%), tra i francesi solo la maggioranza relativa (40%).


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