martedì 28 febbraio 2023
La neo-segretaria porta nella storia del partito un elemento di chiarezza, che però crea scontenti. E per le componenti che gli hanno dato vita, finora mai armonizzate pienamente, è un bivio-chiave
La neo-segretaria Elly Schlein alla Camera fra Marianna Madia (a sinistra) e Rachele Scarpa (a destra)

La neo-segretaria Elly Schlein alla Camera fra Marianna Madia (a sinistra) e Rachele Scarpa (a destra) - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI


La sorpresa dell’elezione di Elly Schlein al vertice del Pd porta con sé soprattutto un pregio: è un primo elemento di chiarezza. Il cosiddetto “popolo dei gazebo” ha sancito (pur con i limiti dei numeri - minori - di queste primarie, sia come percentuale riportata dalla vincitrice sia in valori assoluti) che vuole un Partito democratico “nuovo” e ancor più orientato sui temi indicati dalla 37enne rivelazione: una maggior attenzione alle precarietà del lavoro e alla povertà, all’ambiente, ai diritti civili, anche ai temi della pace. A 16 anni dalla fondazione il partito deve fare ancora i conti con l’armonizzazione, mai pienamente riuscita, fra le diverse anime che, nel segno della “vocazione maggioritaria” proclamata da Walter Veltroni, erano confluite al suo interno: oltre alla parte erede della tradizione Pci-Pds-Ds quella cattolico-popolare, quella liberal-riformista, quella della sinistra più minoritaria, perfino una componente “tecnocratica” (come si è visto negli anni).Un successo di Stefano Bonaccini si sarebbe più sviluppato nel solco ancora di tale percorso, e forse anche per questo il governatore emiliano ha perso. Schlein, compiuta l’impresa della conquista della segreteria, è chiamata ora al secondo tempo della sfida: decidere se costruire un movimento identitario, che viva forte del radicamento in alcuni segmenti della società e si prefigga di crescere e recuperare consensi nel tempo (se il tempo le sarà concesso), oppure un partito che punti da subito al ritorno al governo allestendo un nuovo progetto di centrosinistra e un programma coerente coi vincoli di bilancio. Romano Prodi, a cui si deve la prima e felice (ma circoscritta da due diversi “tradimenti”) stagione dell’Ulivo, ha detto ieri che occorre «aprirsi ai riformismi», ascoltando la società, prima di ragionare sulle alleanze. I due piani però in fondo si sviluppano all’unisono: perché gli interventi legislativi che si hanno in mente delimitano anche il campo delle coalizioni possibili. A partire dalla riforma della legge elettorale, in assenza della quale un centrodestra rissoso, ma formalmente più unito potrebbe, a meno di sfracelli combinati nella gestione del Paese, continuare a prevalere rispetto alle tre opposizioni di Pd, M5s e Terzo polo.

La storia personale di Elly Schlein, molto basata sull’affermazione dell’autodeterminazione dell’individuo, lascia propendere per una via identitaria. La capacità dei veri leader politici è però anche quella di saper sorprendere. Ora per lei sono i giorni dei brindisi, ma le conseguenze di questa vittoria sono imprevedibili. L’addio di Fioroni, ex popolare già membro della prima segreteria Veltroni, è un assaggio. Le prime parole di Bonaccini sono state di segno contrario a nuove diaspore, ma il rischio resta alto e il Terzo polo spera di intercettare voti in uscita. Per vincere “dopo”, la neo-segretaria deve saper includere e trovare mediazioni, superando la logica del patto fra gruppi dirigenti (come già tentato da altri prima di lei) e riscoprendo proprio la tradizione storica del Pci che negli anni del dopoguerra, pur dall’opposizione e tra liti e aspri conflitti sociali, si arricchì proprio delle istanze provenienti dal confronto-scontro con il cattolicesimo sociale, da Dossetti e Gorrieri in poi. A maggior ragione va fatto oggi se si vuol continuare a procedere in quell’unico contenitore che già tanti, troppi leader ha consumato negli anni, da Bersani a Renzi e Letta (pure loro con un passato da popolari). Segno, quest’ultimo – al di là delle alterne sorti elettorali vissute nel tempo -, di una forte democrazia interna, certamente. Ma non è di sola contendibilità che si vive. La responsabilità del “come” definire il nuovo Pd, adesso, grava tutta su di lei, su Schlein.



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: