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La neo-segretaria Elly Schlein alla Camera fra Marianna Madia (a sinistra) e Rachele Scarpa (a destra) - ANSA
La sorpresa dell’elezione di Elly Schlein al vertice del Pd porta con sé soprattutto un pregio: è un primo elemento di chiarezza. Il cosiddetto “popolo dei gazebo” ha sancito (pur con i limiti dei numeri - minori - di queste primarie, sia come percentuale riportata dalla vincitrice sia in valori assoluti) che vuole un Partito democratico “nuovo” e ancor più orientato sui temi indicati dalla 37enne rivelazione: una maggior attenzione alle precarietà del lavoro e alla povertà, all’ambiente, ai diritti civili, anche ai temi della pace. A 16 anni dalla fondazione il partito deve fare ancora i conti con l’armonizzazione, mai pienamente riuscita, fra le diverse anime che, nel segno della “vocazione maggioritaria” proclamata da Walter Veltroni, erano confluite al suo interno: oltre alla parte erede della tradizione Pci-Pds-Ds quella cattolico-popolare, quella liberal-riformista, quella della sinistra più minoritaria, perfino una componente “tecnocratica” (come si è visto negli anni).Un successo di Stefano Bonaccini si sarebbe più sviluppato nel solco ancora di tale percorso, e forse anche per questo il governatore emiliano ha perso. Schlein, compiuta l’impresa della conquista della segreteria, è chiamata ora al secondo tempo della sfida: decidere se costruire un movimento identitario, che viva forte del radicamento in alcuni segmenti della società e si prefigga di crescere e recuperare consensi nel tempo (se il tempo le sarà concesso), oppure un partito che punti da subito al ritorno al governo allestendo un nuovo progetto di centrosinistra e un programma coerente coi vincoli di bilancio. Romano Prodi, a cui si deve la prima e felice (ma circoscritta da due diversi “tradimenti”) stagione dell’Ulivo, ha detto ieri che occorre «aprirsi ai riformismi», ascoltando la società, prima di ragionare sulle alleanze. I due piani però in fondo si sviluppano all’unisono: perché gli interventi legislativi che si hanno in mente delimitano anche il campo delle coalizioni possibili. A partire dalla riforma della legge elettorale, in assenza della quale un centrodestra rissoso, ma formalmente più unito potrebbe, a meno di sfracelli combinati nella gestione del Paese, continuare a prevalere rispetto alle tre opposizioni di Pd, M5s e Terzo polo.