sabato 12 marzo 2022
Darà lavoro a ex detenuti e soggetti fragili. Il vescovo Oliva: azione importante di impegno contro la ’ndrangheta
Il Santuario di Polsi gestirà il terreno confiscato
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Località Notaro del Comune di Ardore (Reggio Calabria). Colline della Locride punteggiate da ulivi secolari. Ventiquattro ettari di terra aspra e solare. Un tempo in mano a un clan ’ndranghetista di Natile di Careri. Poi confiscati, ma da 20 anni inutilizzati. Ora saranno gestiti dal Santuario di Polsi e daranno lavoro pulito a ex detenuti e altri soggetti fragili. È la nuova e importante iniziativa della diocesi di Locri e in particolare di don Tonino Saraco, parroco di Santa Maria del Pozzo ad Ardore e da cinque anni rettore del Santuario della Madonna della Montagna, per anni simbolo, usurpato, del potere mafioso, luogo di summit e giuramenti tra le cosche. Oggi, invece, sempre più simbolo di riscatto, grazie all’impegno di don Tonino, scelto e fortemente sostenuto dal vescovo di Locri, monsignor Franco Oliva. Questa nuova iniziativa, spiega il sacerdote, «nasce dal desiderio di fare qualcosa per migliorare questo territorio. E per dare speranza alla gente che vive qui».

E lo si fa in un bene tolto alla ’ndrangheta. «Sapevamo che il Comune di Ardore aveva questo bene confiscato ma era inutilizzato e abbandonato da venti anni». Così, racconta don Tonino, «d’accordo con il vescovo abbiamo preso questo terreno come Santuario perché attraverso l’azienda agricola del Santuario che noi già abbiamo, vorremmo sviluppare un progetto per dare lavoro a chi ha bisogno, in particolare agli ex detenuti, a chi nella vita ha sbagliato ma vuole rifarsi una vita. Ma a queste persone non sempre la società concede una seconda possibilità. Stiamo preparando un progetto per ricostituire l’uliveto, purtroppo molto degradato, e per riutilizzare anche la casa che si trova nel terreno.

E stiamo anche capendo col Comune se potremo ot- i fondi previsti dal Pnrr per i beni confiscati». Ma c’è anche un altro importante significato. «Il Santuario di Polsi è sempre stato e purtroppo è ancora ritenuto il santuario della ’ndrangheta. Noi con questo gesto vogliamo ribadire invece che quello di Polsi è un Santuario mariano che ha come centro la spiritualità e la dignità delle persone. E il lavoro è centrale come dignità. Un tassello in più per prendere coscienza che il Santuario di Polsi non ha niente a che vedere con la ’ndrangheta». Lo afferma con forza anche il vescovo che ha scelto don Tonino anche per il suo impegno su questo fronte. Nell’agosto 2004, quando era parroco a Siderno, gli fecero trovare appesa allo specchietto retrovisore dell’auto una busta di plastica con cinque proiettili di pistola di grosso calibro e un messaggio più che eloquente: «Se continui così tutti questi colpi te li spariamo in testa». Il fattore scatenate era stato un «no» a un mafioso locale.

Poi nel dicembre 2016 l’apertura del Centro di aggregazione sociale della parrocchia ad Ardore, realizzato in una palazzina di due piani confiscata a un boss sempre di Natile. Ora l’uliveto. «Il Santuario – sottolinea il vescovo – prende l’iniziativa di accettare questo bene confiscato perché lì si possa svolgere un’azione importante a livello anche simbolico di impegno contro la ’ndrangheta e ogni forma di mafia. Santuario che va oltre il suo compito che è quello religioso legato anche alla pietà popolare, per un’iniziativa di carattere sociale per creare lavoro, con un impegno concreto verso un cammino di conversione alla legalità, di affermazione della legalità in maniera concreta».

In questo modo, aggiunge Oliva, «il Santuario vuole esprimere anche un’atenere zione di riscatto dalla mafia e lanciare un messaggio non solo religioso ma anche un messaggio forte a quanti intraprendono certe strade, per dire che la vera religiosità non è semplicemente il santino che si porta in tasca, ma nell’affermazione del bene comune, del principio della legalità, del rispetto per la persona, della lotta concreta contro ogni forma di malavita organizzata. In questo modo Polsi dà di sé stesso un’immagine diversa di quella che purtroppo c’è stata in passato». Non è la prima volta che la diocesi si impegna sul fronte dei beni confiscati. Anzi è una diocesi da record. Sono ben 7 gli edifici sottratti alla ’ndrangheta e ora gestiti dalle parrocchie in paesi come San Luca, Locri, Gioiosa Ionica, Platì, Siderno, Africo, Ardore, luoghi famosi per storie negative di mafia.

E non è finita perché altri quattro beni sono stati assegnati ad associazioni legate al mondo cattolico. Un impegno confermato dalla recente istituzione, con un decreto del 1° marzo, da parte del vescovo Oliva, di una Commissione diocesana per l’attuazione delle linee guida «No ad ogni forma di mafie!» promulgate dalla Conferenza episcopale calabra il 15 settembre 2021. Tra i compiti della Commissione, che sarà presieduta proprio da don Tonino in quanto responsabile diocesano della Pastorale sociale e del lavoro, c’è proprio «individuare strade di progettualità innovativa ed efficace per un uso consapevole ed effettivo dei tanti beni confiscati/sequestrati alla criminalità organizzata, affiancando i comuni e gli altri soggetti istituzionali che li detengono e sostenendo le parrocchie e gli altri enti ecclesiali e il mondo dell’associazionismo ».

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