sabato 10 gennaio 2015
​Il premier glissa su Prodi e dice: al primo turno non ce la facciamo. Il percorso sarà trasparente. E sul Fisco: il deceto darà 32 miliardi.
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«No, non la prendo in giro, al primo turno non ce la facciamo ». Matteo Renzi mette il primo paletto nella corsa verso il Colle. Non ci sono le condizioni per raggiungere la maggioranza dei due-terzi nelle prime tre votazioni, ovvero il premier mette già in conto defezioni nel Pd e in Forza Italia. Anzi, addirittura, in tv su La7, le 'normalizza': «Ognuno deve avere la libertà di fare e dire quello che vuole». Compreso Bersani che ha riportato in campo Romano Prodi. Un nome che Renzi non boccia direttamente, ma elude ricordando che il presidente della Repubblica è il «garante, l’arbitro» e che va eletto da «tutti». E siccome in quel «tutti» c’è soprattutto Berlusconi, il Professore ha poche chance. «Io devo tenere insieme i 450 grandi elettori del Pd che sono quasi sufficienti da soli, e devo evitare che il Parlamento faccia la figura del 2013», quando alla fine fu richiamato in servizio Giorgio Napolitano. Per evitare lo sfarinamento, bocche cucite fino al giorno delle dimissioni dell’attuale capo dello Stato. «Il giorno dopo riunisco il gruppo Pd e definiamo metodo e profilo, sarà tutto trasparente». Poi, in Aula, carte scoperte solo dal quarto turno: «Se anche ci fosse un accordo preventivo su un nome, non lo impallino nelle prime tre votazioni». Almeno questo è chiaro.  I nodi però restano Prodi e Berlusconi. Il quale, ricorda non a caso Renzi, ha già votato Napolitano nel 2013 e Ciampi nel 2009. Dunque non è la prima volta che si parla con lui della massima carica dello Stato. E sbaglia chi usa Prodi per metterlo in difficoltà o addirittura per accusarlo velatamente di essere l’ispiratore dei 101 franchi tiratori che lo affossarono nel 2013. Un’accusa che Renzi rispedisce al mittente, quasi facendo intendere che i veri traditori del Professore furono coloro che lo proposero: «Lo pugnalarono alle spalle. Io parlo con tutti, anche con i cattivi, ma detesto i vigliacchi». A chi si riferisce? Proprio alla sinistra Pd che lo attacca? In ogni caso non c’è aria, al momento, di un ribaltamento del tavolo e di un improvviso dialogo con M5S, alternativo a quello con Forza Italia. «Il Colle non si sceglie con le primarie», spiega Renzi.  Insomma l’impressione è che il Patto con Berlusconi tenga. Ieri addirittura si sussurrava di una rosa di cinque nomi (Castagnetti, Mattarella, Veltroni, Finocchiaro, Fassino). E tiene nonostante le tensioni sul decreto fiscale e la decisione di rinviare al dopo-Colle la modifica al cosiddetto 'salva-Berlusconi'. Il premier quel testo lo difende: «Di Maio ha detto che entrano 16 miliardi in meno con quella norma. È falso. Ne entrano 16 per due perché noi raddoppiamo le sanzioni. Quello che vogliamo fare è evitare il processo penale a chi ha evaso 5mila euro per un errore. Il nostro sistema fiscale fa schifo, fa paura alle aziende, perciò non investono da noi». Ma il pupillo di Grillo ribatte a muso duro: «Mi dà del bugiardo? Lo sfido a dimostrare che lo Stato non perde 16 miliardi».  Insomma, la correzione che ci sarà il 20 febbraio riguarderà solo l’esclusione del reato di frode dalla sanatoria. Il necessario perché Berlusconi esca dai beneficiari. E per sbaragliare il campo dalle accuse di 'inciucio', Renzi prende anche un impegno: «Non cambieremo la legge Severino», dunque non sarà tolta l’ineleggibilità dei condannati. Per concludere una nota autobiografica: «La rottamazione vale anche per me. Il premier sarà l’ultima cosa che faccio». Se ne dovrebbe desumere che se non vincerà le prossime elezioni, in qualunque data si terranno, Renzi cambierà 'mestiere'.
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