giovedì 10 agosto 2023
La premier insiste: «Effetto controproducente». Il governo studia una misura per 160mila privi di contratti collettivi. Il Pd: «Ci convoca e poi cerca l'incidente». Calenda: «Così tutto più difficile»
Carlo Calenda

Carlo Calenda - Ansa

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Incontrarsi e dirsi addio. Sul salario minimo alla vigilia dell’incontro con le opposizioni, domani alle 17 a Palazzo Chigi, l’aria che tira è quella. Ci saranno, con Giorgia Meloni, la ministra del Lavoro Calderone, i vicepremier Salvini e Tajani e i sottosegretari Mantovano e Fazzolari, dall’altra parte tutte le opposizioni tranne Iv. Ma la sensazione è che, cortesia istituzionale a parte, siano già pronti i “piani B”. Il governo è pronto a intervenire in via prioritaria su una platea molto ristretta (i lavoratori del tutto privi di contratti collettivi) puntando per il resto sui contratti di categoria. Lo si evince dalle parole della premier che ricorda «l'altissima percentuale di lavoratori coperti da contratti collettivi, il 97% firmati da Cgil, Cisl e Uil. E se io decidessi di stabilire per legge una cifra minima oraria per tutti», ragiona Meloni «il salario minimo legale che in molti casi potrebbe essere più basso del minimo contrattuale previsto per diversi di questi contratti ». Dunque, il salario minimo «potrebbe peggiorare, per paradosso il salario di molti più lavoratori di quelli ai quali lo migliorerebbe. Insomma titolo accattivante, risultato che rischia di essere controproducente».

Fra le opposizioni la delusione è forte in chi aveva creduto in questo incontro, mentre altri già vedono aria da “liberi tutti”.

Il più deluso è chi aveva lavorato a questo mezzo miracolo. «Ma così è tutto più difficile», ammette al telefono - dopo aver sentito la premier nella rubrica social “Gli appunti di Giorgia”- uno sconfortato Carlo Calenda, estensore in prima persona, in larga misura, della proposta unitaria delle opposizioni, e protagonista della mediazione con il governo. Anche se poi nelle dichiarazioni pubbliche il leader di Azione non rinuncia a fare la sua parte, continuando ad auspicare «toni più bassi» per sedersi al tavolo «senza pregiudizi e preconcetti».

Ma le reazioni a Meloni non lasciano molte speranze. Giuseppe Conte parla di incontro «in salita» e di «fake news» di Meloni che «dà l’idea di non aver letto neppure una riga della nostra proposta», come sostiene anche il capogruppo del Pd in commissione Lavoro della Camera Arturo Scotto. «Qual è la strategia di Meloni, convocare l’incontro e poi cercare l’incidente per farlo saltare?», è la frase che trapela dalla segreteria del Pd, che dà l’idea dei margini ristretti che ci sono.

Continua ad auspicare una «risposta condivisa», la premier, ma in questo clima da dialogo fra sordi già studia una misura della maggioranza, non volendo restare col cerino in mano di un governo descritto come insensibile verso le fasce più deboli. La filosofia di questo intervento punterebbe a tutela mirata verso una platea molto ristretta (si parla di appena 160 mila lavoratori, all’incirca, in larga misura lavoratori a termine o stagionali) residuale rispetto agli oltre tre milioni certificati dall’Istat he lavorano, da sottopagati, in settori comunque regolati con contratti collettivi. Per questi l’idea del governo è quella di intervenire non con spirito dirigistico, ma facendo leva, appunto, sui contratti da riqualificare. Non è un caso che le cifre (95-97% di lavoratori tutelati da contratti collettivi in Italia) e le argomentazioni di Meloni richiamino in modo inequivocabile una memoria del Consiglio del Cnel sul salario minimo inviata alla Commissione Lavoro della Camera, in cui si nota che nelle proposte in esame mancano «soluzioni in grado di affrontare il tema dei bassi salari dal lato della riforma fiscale e della contrattazione ai vari livelli», e si consiglia di intervenire «valorizzando il contributo dei corpi intermedi».

Ed è proprio questo che il governo intende fare. Dall’altro lato, a sinistra già si fa strada l’idea di una raccolta firme antigovernativa sul salario minimo, già ipotizzata a suo tempo da Elly Schlein. A fare da apripista è l’ala più scettica. «Se Meloni ci ha convocato solo per ribadire il suo no la domanda sorge spontanea. Cosa ci ha convocato a fare?», si chiedono Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni per Avs e Riccardo Magi per +Europa.

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