mercoledì 2 gennaio 2013
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Ha gli occhi chiarissimi, appena velati Carolina Cenzato. Una assoluta normalità in quella villetta di mattoncini rossi a Sovico, in Brianza: «No, nulla di eccezionale, era una cosa giusta», ti dice abbassando lo sguardo. Quasi fosse da tutti riuscire a perdonare subito chi, con quel maledetto coccio di una bottiglia impugnato a recidere la carotide, ti ha portato via per sempre tuo figlio.«Era bello come il sole» Lorenzo, anche quel 10 di agosto del 2011, quando uscì dopo pranzo. Carolina gli aveva proposto di andare a giocare a minigolf: «Non oggi mamma, un’altra volta», ricorda con le lacrime agli occhi. Aveva un appuntamento con gli amici, quella “compagnia” che aveva già rubato qualche sospiro a mamma Carolina. Un’ora dopo la tragedia: e subito quelle parole sussurrate nel pianto. Poche frasi che a sua insaputa – «per giorni non ho più letto i giornali né visto la televisione» – commossero l’Italia.«Vorrei che tutti oggi tornassimo a casa lasciando da parte ogni rancore per un rinnovato senso di amore». Parole rivolte in particolare ai tantissimi ragazzi che gremivano la chiesa di Cristo Re, forse ascoltate anche da chi aveva scritto sul muro dei giardinetti frasi di vendetta contro Louis, l’ecuadoriano di 17 anni arrestato poche ore dopo mentre si nascondeva dietro a dei cespugli in un altro parco non lontano da quello del delitto. «Vorrei fare arrivare il mio abbraccio al ragazzo che mi ha tolto il figlio e ai suoi genitori, in attesa di un incontro perché deve vincere il bene». Carolina Cenzato, 52 anni, dopo quelle parole così limpide e profonde, “mamma perdono”. «Ho pensato subito anche a questo ragazzo – spiega non riuscendo a fermare per la seconda volta le lacrime –. Mi sono detta: poteva essere Lorenzo che veniva a casa a dirmi: ho ucciso un ragazzo. Mi sono sentita nei panni di questo ragazzo. Io sono nel dolore, ma anche lui e la sua famiglia sono nel dolore». Neanche un attimo di esitazione per un perdono che, 16 mesi dopo, fa ancora venire i brividi.Due enormi faldoni conservano le decine e decine di lettere, messaggi, telegrammi giunti da ogni parte d’Italia. Il frutto di quel perdono? «Una catena d’amore», assicura. Ilaria, una amica del mare: «So che questa lettera non la potrai leggere...Mi mancheranno tutte le risate che ci facevamo insieme, da quando ci siamo conosciuti fino ad adesso». Massimo da Perugia, un amico sconosciuto: «In un mondo dove l’odio e la vendetta, “l’occhio per occhio, dente per dente” sembrano avere l’ultima, le sue parole mi hanno illuminato e dato quella chiarezza di giudizio che spesso dimentico». Dopo una lettera con Ernesto Olivero, il fondatore del Sermig, è nata una amicizia che coinvolge anche Mara, la sorella di Lorenzo. «È stato lui a farmi incontrare il Papa lo scorso febbraio: Benedetto XVI mi ha stretto la mano. Io ho iniziato a piangere di commozione, ho sentito vicino alla sua persona una grande pace. Mia figlia mi ha detto che il Papa mi ha ringraziato per il perdono, ma io non ricordo nulla».Ma in tanti ricordano quel figlio ucciso per una banale lite e mamma perdono. E ancora in questi giorni sulla tomba di Lorenzo qualcuno deposita una lettera o un disegno... Da dove sono scaturite quelle parole? «Mai mi sarei immaginata, eppure le parole mi sono venute, come se qualcuno me le suggerisse...». Cosa si prova a perdonare? «Dentro di me ho sentito subito una pace, come levare un peso...». Semplicità che lascia disarmati.Il perdono non chiede anche giustizia? «Faccio fatica a pensare a questo aspetto, penso alla sofferenza che purtroppo questo ragazzo dovrà subire. La giustizia dovrà fare il suo corso, ma sono sicura che si è reso conto di quello che è successo e già solo questo penso sia terribile e atroce...Non si pensa mai alle persone che sono in prigione, alla loro disperazione quando si rendono conto di quello che han fatto. Si pensa solo che è giusto che stiano lì a marcire...»Certo la violenza e il disagio giovanile vanno sradicati con l’educazione. Ragazzi problematici, abbandono e disagio scolastico, paura del futuro: una storia che si scrive in tutte le famiglie: «Vorrei dire ai ragazzi di parlare in casa. I primi amici sono proprio i genitori...». Il bene, anche del dolore, vince con naturalezza: «Cerco tutti i giorni di pregare per Louis e mi rivolgo a Dio dicendo: perdonalo anche Tu».Un perdono limpido, ma non certo a buon mercato. «La mattina in macchina, quando sono da sola, piango. E ascolto Radio mater. Si, lo scriva: forse è stato l’ascolto della Messa per radio tutti i giorni che mi ha insegnato a perdonare». ​
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