venerdì 9 dicembre 2022
Il medico premiato nel 2018 per le cure alle donne violentate parla delle speranze del suo popolo per la prossima visita del Papa, del rischio di una nuova grande guerra africana. E accusa il Ruanda
Denis Mukwege in piazza San Pietro dopo essere stato ricevuto da Papa Francesco

Denis Mukwege in piazza San Pietro dopo essere stato ricevuto da Papa Francesco - Foto Luca Liverani

COMMENTA E CONDIVIDI

«Per l’Ucraina c’è un impegno totale della comunità internazionale, che utilizza tutti gli strumenti esistenti, giuridici ed economici, per mettere fine a questa guerra. Credo che certamente si arriverà a mettere fine a quel conflitto. Utilizzando gli stessi mezzi, la guerra nella Repubblica Democratica del Congo potrebbe finire domani». Denis Mukwege, il medico congolese e pastore protestante premio Nobel per la pace nel 2018 per il suo impegno a favore delle donne vittime di stupri di guerra, ha appena incontrato Papa Francesco, che a fine gennaio si recherà nella Repubblica Democratica del Congo. Sotto il colonnato berniniano di piazza San Pietro parla del conflitto pluridecennale nel suo Paese, una delle tante guerre dimenticate.

Quella in Congo è un pezzo di quella III Guerra mondiale denunciata dal Papa di cui il mondo si è accorto per l’invasione in Ucraina.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha stilato una classifica delle guerre più trascurate: quella in Congo è al primo posto. I mass media non ne parlano, quindi manca una volontà politica internazionale di affrontarla, gli aiuti umanitari non arrivano per milioni di sfollati. Deve finire la politica dei due pesi e due misure, l’umanitarismo a geometria variabile. Quando l’umanità soffre in qualche parte del mondo, dobbiamo tutti avere la stessa reazione. Fondamentale è il ruolo dell’informazione. Anche nel mio paese le tivù europee e americane ogni giorno hanno titoli sulla guerra in Ucraina. Non su quella che ha già fatto sei milioni di morti.

Cosa le ha detto il Papa? In Congo c’è attesa per la sua visita?

Papa Francesco è un uomo di fede che in tutto il mondo opera per la pace, la giustizia e l’inclusione. La sua visita in Congo è un segnale forte. La sua solidarietà dà speranza al mio popolo martoriato da più di 25 anni. Non parlo del passato: il 29 novembre nel villaggio di Kishishe più di 130 persone sono state massacrate all’arma bianca. Erano civili disarmati, 27 donne sono state violentate, più di 60 i dispersi. Non esagero se dico che dopo la II Guerra mondiale è la crisi che ha contato il più grande numero di vittime, sei milioni di morti.

Le violenze sono in tutta la regione, alimentate da paesi vicini. Teme lo scatenarsi di una nuova grande guerra africana?

È un timore giustificato, un rischio presente. Il Ruanda ha attaccato il Congo e tutto il mondo lo riconosce, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, l’Onu. Va fermata questa aggressione che va contro la Carta delle Nazioni Unite, contro il diritto internazionale umanitario. Ci aspettiamo che l’Europa e l’Italia prendano posizione per decidere sanzioni previste per tutti i paesi che sostengono gruppi paramilitari. Ma se il mondo resta nell’inazione e nell’indifferenza, il numero dei morti continuerà ad aumentare.

Come è stato l’incontro con Papa Francesco di stamattina?

Mi ha detto che gli dispiace di non andare a Goma, il capoluogo del Nord Kivu, per non alimentare altre tensioni. La Chiesa ha un ruolo molto importante, la sua parola profetica può fare la differenza. È una Chiesa che è accanto all’uomo che soffre.

Qual è il motivo del conflitto in Congo? È una guerra religiosa?

No, e nemmeno una guerra tribale. È solo una guerra economica, una guerra scatenata da un paese confinante per creare caos e distrarre dall’esportazione illegale le richezze del nostro Paese. Il Congo ha tutti i minerali che servono per costruire i cellulari, i computer. E riserve enormi di cobalto per fabbricare le batterie. Il Ruanda esporta minerali che non estrae dal suo sottosuolo. Tutto il mondo lo sa.

A che punto è l’opera dell’Ospedale Panzi da lei fondato? A Napoli ha ricevuto in dono un macchinario per le Tac dall’Istituto Pascale e 100 mila euro di medicinali dall’Ordine dei farmacisti.

Oggi siamo alla terza generazione di donne violentate in guerra. Distruggendo le donne si distruggono i bambini, le comunità. Il Panzi Hospital a Bukavu sta cercando di moltiplicare i suoi centri per la presa in carico olistico cioè medica, psico-sociale, economica, legale.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI