mercoledì 29 novembre 2023
Sullo stop al mercato tutelato dell'energia (come su altri dossier) le posizioni dei partiti sono cambiate con estrema disinvoltura, a seconda della "convenienza" politica del momento
Giorgia Meloni ed Elly Schlein

Giorgia Meloni ed Elly Schlein - Ansa

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Elly Schlein proprio come una Giorgia Meloni o un Matteo Salvini? Inutile girarci intorno, è questo l’effetto provocato ieri dalla conferenza stampa convocata a tambur battente dal Pd sulla fine del mercato tutelato. Sentir parlare la segretaria del Pd di «tassa Meloni per le famiglie» fa trasalire, in questo Paese sempre dotato di scarsa memoria, chi invece si ricorda che questo intervento era stato voluto e caldeggiato ai tempi del governo Draghi (quando il Pd era asse portante della maggioranza di “larghe intese”), anche come elemento-chiave del Pnrr in costruzione. Memoria corta o “potenza” delle giravolte di convenienza, per di più consumate sulle spalle dei “cittadini-spettatori”, che legittimamente vivono questo passaggio di sistema con un carico di preoccupazione? È il “fascino” a tratti perverso della politica nostrana, che cambia orientamento e opinione come nulla fosse a seconda della collocazione del momento, se si sta al governo o all’opposizione. Lo provano, con notevole senso del paradosso, i Fratelli d’Italia che, nel rinfacciare a Schlein le dichiarazioni di ieri, allo stesso tempo ricordano essi stessi che mesi fa votarono contro, che cioè si batterono ferocemente contro l’analogo provvedimento che adesso hanno approvato. Alla faccia della coerenza generale! La stessa Ue viene “strumentalizzata” a seconda dell’esigenza politica del momento: a imporci l’abolizione del mercato elettrico di maggior tutela è infatti quella Europa spesso e volentieri sbandierata come portatrice di un “verbo” (assolutamente da rispettare e non discutere come tale) da parte di quel centrosinistra che, in questo caso specifico, al contrario vuole andare in senso opposto alla direzione di Bruxelles. La giustificazione addotta dal Pd, che per l’occasione ha anche recuperato Pier Luigi Bersani come “padre” delle liberalizzazioni, è che in meno di due anni troppe cose sono cambiate e non si può fare questo spostamento di massa degli utenti nel mezzo del «più grande stravolgimento del mercato mai visto». Giustificazione che, tuttavia, poco regge: perché ogni partito ne può trovare di simili. Non a caso ne ha sfoderate, con gran disinvoltura, la stessa premier Giorgia Meloni, che adesso si fa vanto della Commissione Ue che, sia pur con riserva, promuove la manovra oppure delle agenzie di rating che confermano il giudizio sull’Italia, facendosi così portabandiera di quei “vincoli esterni” che un tempo, da fiera leader dell’opposizione in cerca di appigli ideologici da esibire agli elettori, additava invece quasi come il pericolo estremo del sistema. Per non ricordare le epiche battaglie combattute a suon di video - lei come Matteo Salvini - per abolire quelle accise sui carburanti, convintamente confermate invece ora che sono al governo. In questo festival dell’incoerenza non stupisce troppo nemmeno il “solito” Salvini che, con pari nonchalance, il giorno dopo aver dato l’ok (con cognizione di causa, si presume) in Cdm allo stop al regime tutelato fa sapere di voler «rimediare a un errore». Il segretario leghista, non vestendo a differenza di Meloni i panni da presidente del Consiglio (per questo obbligato a confronti continui con Bruxelles), può permettersi del resto qualche libertà in più. A non poterselo consentire, semmai, è un sistema politico già abbastanza screditato.

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