Un immobile usato dai musulmani per le preghiere a Monfalcone - Ansa
Il Consiglio di Stato conferma che per il momento nei centri culturali musulmani di Monfalcone, fatti chiudere dall’Amministrazione comunale per inagibilità da parte di grandi gruppi, non si possono tenere riti religiosi, ma sollecita le autorità preposte ad individuare un’alternativa in tempi rapidi. Cioè in 7 giorni. È quanto prevede l’ordinanza in risposta al ricorso delle associazioni Baitus e Darus Salaam che avevano chiesto la possibilità di pregare presso i locali di via Duca d'Aosta e via don Fanin, e che quindi erano ricorse anche contro l’ordinanza in primo grado del Tar Fvg. Secondo i giudici di Palazzo Spada, infatti, nel caso specifico le norme di natura urbanistica relative alla zonizzazione non consentono ad un immobile di essere trasformato in moschea. Ciò, insomma, che sosteneva il sindaco Anna Cisint. Ma, attenzione, dal Consiglio di Stato arriva all’Amministrazione leghista della città dei cantieri la raccomandazione «ad individuare, in contraddittorio con gli interessati e con spirito di reciproca e leale collaborazione siti alternativi accessibili e dignitosi per consentire ai credenti l’esercizio della preghiera, prendendo in attenta considerazione le osservazioni critiche mosse dall’Associazione rispetto ai luoghi nel frattempo individuati dalla Questura». Le due associazioni, infatti, avevano respinto l’ipotesi del parcheggio delle Terme romane e la salita alla Rocca, perché sono «all’aperto ed ubicati in punti del tutto defilati e periferici».
Siamo in pieno Ramadan ed ecco che la Camera di consiglio - presieduta da Dario Simeoli e composta da Francesco Guarracino, Giancarlo Carmelo Pezzuto, Alessandro Enrico Basilico e Ugo De Carlo – stabilisce che «il tavolo di confronto dovrà essere convocato con la massima sollecitudine e comunque entro 7 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza». E questo perché «la delicatezza delle questioni sottese al presente contenzioso impongono una fissazione celere del merito». Tanto che Palazzo Spada ha invitato il Tar a fissare con sollecitudine l'udienza di merito. Particolare non secondario, i giudici concludono osservando che «la natura degli interessi coinvolti giustifica la compensazione delle spese della presente fase tra le parti». Il legale rappresentante delle associazioni, Vincenzo Latorraca, evidenziando «il sostanziale rifiuto al confronto opposto a oggi dal Comune» e, per contro, i tempi stretti da Roma, fa sapere che le associazioni si attendono «che il Comune convochi, senza ulteriori indugi, dopo tre provvedimenti giurisdizionali favorevoli alle associazioni, il tavolo di confronto affinché vengano individuati, allo stato, luoghi idonei e dignitosi per l'esercizio del diritto di culto da parte degli associati». Le associazioni peraltro, conclude l'avvocato, si ritengono «soddisfatte rispetto al pronunciamento perchè viene assicurato un diritto universale garantito dalla Costituzione».
La risposta della sindaca Cisint, tra l’altro neocandidata alle Europee per la Lega, non si è fatta attendere. «Non mi pare che da parte degli interlocutori ci sia una reale disponibilità a confrontarsi, considerato anche – è la puntigliosa risposta della sindaca - che non pare che in questo periodo ci sia stato un pieno rispetto delle ordinanze e delle disposizioni della magistratura che hanno inibito l'utilizzo degli spazi come luoghi di preghiera. Intendo comunque muovermi nel rigoroso rispetto del principio che gli interessi generali della comunità e della città non possono essere subordinati a pretese di una minoranza e agire nei limiti e secondo le disponibilità dell'Amministrazione comunale in merito». Cisint ricorda che «ci siamo sempre mossi nel segno della legalità e dell'esigenza di far rispettare le regole che devono valere per tutti i cittadini. Il Consiglio di Stato, dunque, ha colto in pieno questo presupposto – secondo la sindaca - che, come ho avuto modo di sottolineare nulla ha a che vedere con gli aspetti della libertà di culto che invece sono stati strumentalizzati in modo violento». Secondo la sindaca, «la libertà di esercizio della religione non potrebbe di per sé giustificare una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri - con provvedimento non impugnato - nell'esercizio dell'attività conformativa in materia urbanistico-edilizia, poiché è evidente che un immobile, in tesi carente dei requisiti strutturali o di zonizzazione, non potrebbe essere trasformato in una moschea o, allo stesso modo, in una chiesa per l'esercizio del culto religioso».