martedì 9 marzo 2021
La Commissaria per i Diritti umani del Consiglio d'Europa accusa gli accordi con la Libia: "In contrasto con il diritto internazionale”
Una motovedetta libica durante la cattura di un gruppo di migranti

Una motovedetta libica durante la cattura di un gruppo di migranti - Sea Watch

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"I paesi europei non riescono a proteggere i rifugiati e i migranti che cercano di raggiungere l'Europa attraverso il Mediterraneo”. L’accusa, nero su bianco, arriva dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Nel suo ultimo rapporto Dunja Mijatović sostiene che “l'arretramento nella protezione delle vite e dei diritti dei rifugiati e dei migranti sta peggiorando e causa migliaia di morti evitabili ogni anno".

Non è una denuncia da poco. Fin dal titolo il report chiarisce a cosa il vecchio Continente sta andando incontro: "Una richiesta di soccorso per i diritti umani. Il crescente divario nella protezione dei migranti nel Mediterraneo". Come a dire che le “radici” europee vengono tradite da scelte politiche che in economia potrebbero essere definite “protezionismo”, ma che sugli esseri umani ha ricadute tragiche.

In 36 pagine il rapporto fa il punto sull'attuazione da parte degli Stati membri della raccomandazione del Commissario del 2019, quando veniva invocato un meccanismo per il salvataggio in mare improntato al rispetto del Diritto internazionale. Al contrario secondo Mijatović le violazioni sono continuate. Soprattutto da parte di Paesi come Italia e Malta, spalleggiati dalle scelte dell’Unione europea.

In esame sono stati presi tutti i principali episodi avvenuti da luglio 2019 a dicembre 2020 secondo cinque parametri chiave: efficacia delle operazioni di ricerca e salvataggi; sbarco tempestivo e sicuro delle persone salvate; cooperazione con le organizzazioni non governative; cooperazione con i Paesi terzi; aperture di rotte sicure e legali. Per quanto il dossier si concentri sugli sviluppi lungo la rotta del Mediterraneo central, “molte delle azioni richieste in questo documento - si legge - sono applicabili a tutte le altre principali rotte migratorie nella regione del Mediterraneo e sulla rotta atlantica dall'Africa occidentale alla Spagna”.

Ad oggi sono stati osservati solo “alcuni limitati progressi” che non cambiano lo stato delle cose. “La situazione dei diritti umani nel Mediterraneo rimane deplorevole”. Le ragioni sono molte. “I naufragi continuano ad essere preoccupantemente ricorrenti, con più di 2.400 morti registrati nel periodo in esame, un numero che potrebbe sottorappresentare il reale numero di incidenti mortali”. Una delle cause è “il crescente disimpegno della capacità navale degli Stati dal Mediterraneo e l'ostacolo alle attività di salvataggio delle Ong, così come - insiste la Commissaria alludendo in particolare a Italia e Malta - le decisioni di ritardare lo sbarco e la mancata assegnazione di un porto sicuro”. Decisioni politiche che “hanno minato l'integrità del sistema di ricerca e salvataggio”. Al contrario “le attività di cooperazione con i Paesi terzi sono state rafforzate”, e questo “nonostante l'innegabile evidenza di gravi violazioni dei diritti umani, e senza l'attuazione delle garanzie dei diritti umani, compresi i principi di trasparenza e responsabilità”. Il riferimento è in particolare agli accordi tra Italia e Libia, supportati dall’ambiguo dell’agenzia Ue per il controllo dei confini. “Il passaggio alla sorveglianza aerea è evidente anche nelle operazioni di Frontex - osserva il rapporto -. Le informazioni raccolte dagli Stati membri e dalle agenzie dell'Ue aerei attraverso droni e satelliti degli Stati membri e delle agenzie dell'Unione europea vengono condivise con tutte le autorità competenti, comprese quelle in Libia”.

Una cessione di informazioni che viene definita illegale. E che avrà ripercussioni anche nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell’Uomo, istituita presso il Consiglio d’Europa. “Con la limitata presenza degli Stati membri in mare, queste informazioni sembrano essere favorire ulteriori intercettazioni e ritorni da parte della guardia costiera libica in porti non sicuri”. E perché sia chiaro a cosa vanno incontro gli Stati, il report riassume in una frase il giudizio sui Paesi che stanno agendo “in contrasto con il diritto internazionale marittimo e con i diritti umani”.

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