giovedì 13 agosto 2009
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Una sentenza «scientifica». Emessa dal Tar laziale a ridosso di Ferragosto, quasi per mettere in crisi i consigli di classe che tra una ventina di giorni dovranno riunirsi per valutare gli allievi rimandati a settembre. Tar che a distanza di nove anni contraddice se stesso. E ignora tre pronunciamenti della Corte Costituzionale e quattro ordinanze di altrettanti ministri dell’istruzione dal 1999 ad oggi. Non sono agitati i professori di religione,il verdetto della giustizia amministrativa è un film già visto. Ma sconcertati. Ieri sul sito della loro associazione sono arrivate centinaia di mail di insegnanti. Esprimevano soprattutto preoccupazione per gli studenti e le famiglie all’improvviso prive di certezze. Il clima lo descrivono alcuni rappresentanti della categoria. «È chiaro – spiega Sergio Cicatelli, oggi dirigente scolastico e consulente della Cei – che la sentenza del Tar ha sapore propagandistico e mira ad affossare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane. Periodicamente alcune sigle, sempre le stesse, presentano ricorso. Puntualmente si fanno le solite polemiche sui media. Abbiamo scarsa memoria, ma proprio il Tar laziale nel novembre 2000 giudicò inammissibili analoghi ricorsi presentati da queste sigle. E ci fu una bocciatura del Consiglio di Stato nel 2007, quando respinse la sospensiva di un’altra sezione del Tar ribadendo che l’insegnamento della religione concorre alla determinazione del credito scolastico». Insomma per Cicatelli l’intervento del ministro Gelmini, la quale ha annunciato ieri il ricorso al Consiglio di Stato, è un atto dovuto. «Anche perché – prosegue Cicatelli – è dal 1999 che i suoi predecessori Berlinguer, De Mauro, Moratti e Fioroni ribadiscono che i professori di religione appartengono a pieno titolo al consiglio di classe ed esprimono valutazioni sull’allievo. Ferie permettendo, auspico che la risposta dell’organo supremo della giustizia amministrativa arrivi entro fine agosto». In caso contrario? «I crediti formativi – è la conclusione del dirigente scolastico – hanno valore non solo per la maturità, ma anche per la terza e quarta classe delle scuole superiori. Quindi, se vale quello stabilito dal Tar laziale, gli scrutini di giugno teoricamente potrebbero venire invalidati perché svoltisi alla presenza dei docenti di religione. Probabile che qualche solerte insegnante o dirigente puntualmente sollevi il caso nei prossimi giorni. Così i collegi che a settembre devono valutare gli allievi rimandati potrebbero dover rifare gli scrutini per tutti. e un’ipotesi, perciò la situazione va chiarita per rassicurare mondo scolastico e famiglie». Nicola Incampo. professore di religione alle superiori, è membro della commissione paritetica Cei – Ministero dell’istruzione per l’insegnamento della religione cattolica. Non lesina critiche al Tar. «Ripeto, la sentenza è assurda. Quando uno studente decide di avvalersi dell’insegnamento della religione, materia scolastica con dignità formativa e culturale pari alle altre, ha diritto a vedersi riconosciuto l’impegno di frequenza alle lezioni. Lo dicono l’intesa concordataria del 1984 e diverse sentenze della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato e del Tar. Fu l’ordinanza del 1999 dell’allora ministro Berlinguer a stabilire che avvalersi dell’insegnamento di religione cattolica concorreva alla possibilità di formare il credito. L’ordinanza del 2007 del ministro Fioroni, sulla quale si è espresso il Tar, prevede che anche i non avvalentesi concorrano a crediti qualora seguano attività alternative o facciano lo studio assistito. Mi chiedo perché su questa materia continui a pronunciarsi caparbiamente la giustizia amministrativa». Che discriminazione causa la presenza dell’insegnante di religione nei collegi dei docenti, allora? «Senta, il 91% degIi alunni sceglie liberamente l’ora di religione. Finché sono minori decide la famiglia, dopo i 18 anni l’allievo. E la materia ha un programma preciso e quindi, ha riconosciuto la Consulta, è curricolare. Chi non la frequenta, ha diverse alternative. La scuola concorda con gli interessati le attività sulle quali matura il credito formativo. Si può obiettare che non tutte le scuole lo fanno e che alcuni dirigenti piazzano religione alla prima o all’ultima ora, così che l’alternativa diventa saltare la lezione. Però con questo non si può discriminare chi frequenta regolarmente». Ultima, ma non meno importante, la questione della pari dignità culturale della religione e dei suoi docenti. «È la revisione concordataria – puntualizza Dino Castiglioni, professore di religione in aspettativa e segretario regionale ligure di Cisl scuola – a ribadire che i principi cristiani fanno parte del patrimonio culturale del popolo italiano. Mi pare che la sentenza confonda i piani. Qui non si parla di un’ora di catechismo, la scelta di fede è personale. A scuola l’insegnante di religione spiega i valori cardine della nostra cultura e questa materia ha pari dignità con le altre. Quindi chi la insegna ha il diritto e il dovere di valutare l’allievo nel consiglio di classe. Non è giusto discriminare questi professori e i loro allievi, vale a dire la maggioranza degli italiani».
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