mercoledì 10 dicembre 2014
​Meno abbandoni e studenti fuori corso. La fotografia scattata dalla Conferenza dei rettori sulle 18 realtà accademiche presenti in Italia.
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Qualità didattica; luogo sicuro; consonanza di valori, modelli e ideali tra ateneo e studenti; vicinanza al territorio e alle famiglie; qualità tecnologica. La fotografia scatta dalla Conferenza dei rettori (Crui) sul mondo delle università non statali mostra un segmento dell’intero sistema accademico italiano in piena salute. Almeno dal punto di vista dell’attività. Di tutt’altro tenore l’aspetto economico dove lo Stato contribuisce solo per il 5% complessivo dei loro bilanci. Fondi scarsi, ma «obblighi normativi» uguali tra i due gruppi di atenei, che di fatto «penalizza ancora una volta la libera imprenditoria» e, come sottolinea il primo rapporto sul tema, «costringere a correre con le stesse regole su un versante chi deve misurarsi quotidianamente con il libero mercato, contando quasi solo sulle risorse proprie e delle famiglie degli studenti e sull’altro chi partecipa alla condivisione del fondo di funzionamento ordinario, trasferito direttamente dallo Stato agli atenei statali». Parole che riecheggiano denunce e appelli levatesi in queste ultime settimane dai rettori di Cattolica (Anelli) e Lumsa (Bonini) in occasione delle rispettiva apertura di anno accademico. Due università che fanno parte dei 18 atenei non statali (di cui 14 aderenti alla Crui), quasi un quinto dell’intero sistema che conta anche 66 statali e 11 telematiche. Nella lista, tra gli altri, anche Bocconi, Suor Orsola Benincasa di Napoli, Iulm di Milano, Luiss di Roma, Liuc di Castellanza ( Varese), Kore di Enna, San Raffaele di Milano. Nate dalla spinta di realtà locali o associative, le università non statali presentano alcune caratteristiche similari che il rapporto evidenzia. Ecco la «qualità didattica» necessaria anche per giustificare la scelta economica delle famiglie. Quest’ultime riconoscono agli atenei in questione di essere «un luogo sicuro per far studiare i figli», ma anche «consonanza con i valori, i modelli di vita e gli ideali di cui la famiglia è portatrice ». Da parte sua l’università non statale risulta essere molto attenta «alla vicinanza con studenti, famiglie e territorio» che si traduce «nella qualità degli stage, dei tirocini, dell’offerta di collegamento con il mondo dell’impresa». Altro tratto caratteristico «la qualità tecnologica delle attrezzature didattiche, dei servii e delle funzioni comunitarie».  Un impegno che, stando ai risultati fotografati della Crui, mostra negli atenei non statali «una minor quota di iscritti fuori corso, un tasso di abbandono minore e una più contenuta incidenza degli studenti inattivi, cioè di quei giovani che una volta iscritti non sostengono alcun esame ». Le cifre? I fuori corso nelle non statali sono il 19.6% contro il 34.4% delle statali; gli abbandoni si fermano al 13.2% contro il 17.4 delle statali, e gli inattivi sono il 10.4% mentre si arriva al 15.9% nelle statali. Il rapporto della Crui affronta anche l’aspetto dell’azione legata ai tirocini e al collegamento con il mondo del lavoro, ma anche quello della ricerca, nei quali l’università non statale ottiene risultati interessanti. Tra gli indicatori di qualità anche quello del numero di chi giunge al termine del percorso di studi con la laurea. Anche in questo caso i laureati fuori corso negli atenei non statali sono il 35.3% contro il 57.5% delle statali. Segno di un percorso di studi più regolare e nei tempi previsti dal corso di laurea. 
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