giovedì 20 giugno 2019
Conte invia la lettera ma non riesce ad anticipare l'assestamento di bilancio. Salvini teme ancora la manovrina e si tiene le mani libere. Le rassicurazioni al Colle: eviteremo la procedura
Il capo dello Stato Sergio Mattarella con il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Interno Matteo Salvini al pranzo al Quirinale prima del Consiglio europeo di oggi

Il capo dello Stato Sergio Mattarella con il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Interno Matteo Salvini al pranzo al Quirinale prima del Consiglio europeo di oggi

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Formalmente tutto procede come da programma: il governo è impegnato in «modo unanime» ad evitare la procedura d’infrazione Ue sul debito pubblico. Ma la prima mossa di Giuseppe Conte e Giovanni Tria, messa nero su bianco durante il Consiglio dei ministri di ieri sera, non ha fatto breccia nel muro eretto da Matteo Salvini e Luigi Di Maio. L'idea, ieri discussa in Cdm ma non ancora tradotta in un disegno di legge, è quella di anticipare di qualche settimana il ddl di assestamento di bilancio e certificare prima del 9 luglio che i conti del 2019 si stanno incanalando nel rispetto degli obiettivi fissati con la Commissione di Bruxelles a dicembre, grazie a nuove entrate fiscali e a discreti risparmi rispetto alle risorse stanziate per 'quota 100' e reddito di cittadinanza. Il "blitz" però non riesce e il varo dell'assestamento viene rinviato alla settimana prossima.

Il mancato varo notturno del ddl-assestamento, annunciato dal premier anche alle Camere, ha restituito ancora una volta la sensazione di un governo in cui ci sono due linee verso l'Ue: quella "negoziale" del premier, di Tria e del titolare degli Esteri Moavero Milanesi e quella del "corpo a corpo" prediletta a Salvini e Di Maio, i quali si sentono, in questa fase, rinfrancati dallo spread in calo. A fronte di questa situazione, l'altro passo a lungo atteso, l'invio della lettera di Palazzo Chigi a Bruxelles e ai 27 Paesi dell'Unione, viene a somigliare ad una tattica per prendere tempo. La missiva viene spedita, ma i contenuti non spostano di molto i termini del problema e non allontanano più di tanto lo spettro della procedura d'infrazione: "Rispetteremo le regole ma la politica economica dell'Europa deve cambiare", è il senso politico di fondo. Per il 2019, spiega Conte, non c'è bisogno di alcuna correzione perché le cose stanno andando nel verso giusto. Per il 2020, invece, la riforma Irpef sarà fatta rispettando gli obiettivi di deficit ed evitando gli aumenti Iva, con una forte revisione della spesa. Ma non si va oltre queste formulazioni generiche. Da Bruxelles non filtrano reazioni, se non una generica disponibilità a dare una settimana in più all'Italia, spostando il "redde rationem" dal 26 giugno al 2 luglio.

L'altro segnale che l’esecutivo mette sul tavolo delle trattive è quello di 'scongelare' subito i 2 miliardi che erano stati messi da parte in caso di sforamento del deficit.

È la linea concordata tra il premier e i suoi vice da due settimane: evitare una 'manovrina' correttiva adesso e spostare il negoziato decisivo all’autunno, in una sorta di scambio politico che comprende anche la posizione dell’Italia rispetto ai nuovi commissari Ue e alle nuove regole dell’Eurozona (resta per il momento in

stand by

la nomina del ministro agli Affari europei).

Ma la debolezza di questa impostazione è nota a tutti. Da settimane si dà la procedura d’infrazione come cosa già decisa a Bruxelles, e la data del 9 luglio (riunione decisiva dell’Ecofin) è soprattutto un bivio per Roma: entro quel giorno il governo gialloverde potrà mettere mano alla correzione, diversamente dovrà fronteggiare la nuova, pesante circostanza della procedura d’infrazione. Lo sa Conte, lo sa Tria, lo sanno Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Ma mostrarsi ottimisti è l’unica strada ora percorribile, mentre quella più ispida di mettere mano alle forbici sarà valutata a ridosso della scadenza del 9 luglio. Ottimismo che è stato espresso anche ieri al Quirinale, dinanzi al capo dello Stato Sergio Mattarella, durante la tradizionale colazione di lavoro che precede ogni Consiglio Ue (oggi e domani Conte è a Bruxelles con gli altri capi di Stato e di governo). Al pranzo quirinalizio «aria serena », dicono fonti di governo. Ma un particolare fa riflettere. Parla lungamente Conte circa le trattative in corso sulle quattro 'grandi nomine' europee (presidente della Commissione, presidente del Consiglio Ue, vertice dell’Europarlamento e super-governatore della Bce) e circa le mire italiane (un commissario economico 'con portafoglio').

Parla lungamente anche Tria, che snocciola i dati sull’assestamento di bilancio poi ripetuti in serata al Consiglio dei ministri e ripete quanto riferito in un’intervista, ovvero che la Flat-tax si può fare gradualmente e con coperture certe. Parla abbondantemente il titolare degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, sui maggiori dossier internazionali. Tacciono invece Di Maio e Salvini. Alcune fonti riferiscono che a margine della colazione di lavoro il leader della Lega abbia voluto rassicurare il presidente della Repubblica sulla sua volontà di non scassare i conti, ma non ci sono conferme. Il silenzio dei due leader ha due significati diversi.

Di Maio nella sostanza si aggrappa a Conte perché conduca in porto la trattativa con l’Ue senza danni. Il silenzio di Salvini ha invece il sapore della sfiducia. Il leader della Lega teme che il premier non sappia dire «no» a un eventuale diktat dell’Europa sulla manovra correttiva. E teme di restare incastrato al peggiore tavolo possibile, quello in cui si sceglie se tagliare servizi o salassare qualche categoria. Il quadro, quindi, è ancora fragilissimo. E come spesso accade in momenti confusi e senza esiti certi, Salvini piazza al centro della scena un possibile pretesto per la crisi. Nei giorni scorsi ha iniziato fissando al 21 giugno la data di esame dell’Autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Oggi ha ribadito il diktat fissando alla prossima settimana l'analisi in Cdm del dossier Autonomia.

Intanto il nuovo stallo alla Camera sul decreto-crescita è l’immagine fedele di una maggioranza che è tornata in uno stato di 'precrisi', aspettando l’esito del negoziato europeo. E anche i segnali che provengono da Alessandro Di Battista sembrano riportare le lancette ai giorni successivi al voto europeo: Dibba afferma di volersi ricandidare «al 100%» in caso di voto ancitipato e quasi invita Di Maio a 'staccare la spina' promettendogli una ricandidatura in deroga alla regole dei due mandati. «Se il governo cade prima del 15 luglio – dice – proporrò di non considerare questa legislatura».

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