venerdì 6 gennaio 2017
Il ministro rassicura: in tutto 1500 posti. Le Ong: in quei centri troppe violazioni.
Minniti: «I nuovi Cie saranno totalmente diversi»
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Si chiameranno Cie, ma non saranno i Cie come li conosciamo. Questo promette il ministro dell’Interno Marco Minniti, dopo il coro di 'no' alla riedizione dei Centri di identificazione ed espulsione che tanti problemi hanno dato alle autorità e agli ospiti, senza mai riuscire a raggiungere appieno lo scopo per cui furono istituiti: identificare con certezza i migranti e rimpatriare quelli irregolari. Prudenza dettata anche dal clima respiratori durante il vertice di governo nel corso del quale non è stato nascosto un certo timore per gli effetti politici degli annunci del neoministro dell’Interno, con il rischio che possano essere strumentalizzati dall’opposizione. Dopo il vertice Minniti ha tenuto a precisare che il 'nuovi' Cie «non avranno nulla a che fare con quelli del passato. Punto. Non c’entrano nulla perché hanno un’altra finalità – ripete il ministro –, non c’entrano con l’accoglienza ma con coloro che devono essere espulsi». Le modalità verranno discusse nei prossimi giorni. «Ne parleremo alla conferenza Stato-Regioni già convocata per il 19 gennaio. Proporrò strutture piccole, che non c’entrano nulla con quelle del passato, con governante trasparente e un potere esterno rispetto alle condizioni di vita all’interno».

Parole pronunciate dopo il vertice su sicurezza, migranti e Libia a Palazzo Chigi con il premier Gentiloni, insieme ai ministri degli Esteri Angelino Alfano, e della Difesa Roberta Pinotti. Minniti ha anche annunciato che si recherà in Libia per affrontare il tema dell’immigrazione. Il governo procede verso un decreto legge per semplificare le procedure; una serie di accordi (finora fallimentari) con i Paesi di origine e transito per rendere effettivi i rimpatri; accoglienza diffusa rinnovando gli incentivi già previsti per i Comuni che accolgono i migranti. «Lavorerò con tutte le mie forze perché siano rispettati i diritti umani e le strutture di accoglienza di grandi dimensioni non vanno in questa direzione », ha assicurato il ministro. Resta da capire, a questo punto, in che modo si intende realizzare e governare queste strutture. «Le parole del presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno sono le migliori pronunciate sul tema - ha osservato il titolare del Viminale –. Il tema dell’immigrazione va affrontato in maniera complessiva, vederlo in modo parcellizzato è la cosa più sbagliata possibile. Intendo presentare una proposta organica al Parlamento perché è il Parlamento che deve decidere». Da quanto trapela, dovrebbero essere realizzate una quindicina di strutture in altrettanti regioni italiane, ciascuna con circa 100 posti. Dipenderà poi dalla Come sempre le reazioni sono contrastanti. «Tornare ad investire sui Cie significa rispondere strategicamente alle esigenze di sicurezza e legalità del Paese connesse al complesso tema dell’immigrazione», afferma il segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, Enzo Marco Letizia.

«C’è, tra l’altro, un rapporto tra crimine e terrorismo poiché - continua - la maggior parte dei jihadisti che hanno colpito in Europa avevano alle spalle una storia di criminalità comune. Rendere effettiva l’espulsione degli stranieri che commettono reati, in base alla normativa vigente, con accordi di riammissione con gli stati di provenienza, significa sterilizzare il terreno su cui agiscono gli istigatori ed i reclutatori del terrorismo jihadista». Al contrario Amnesty International Italia ricorda che «le organizzazioni per i diritti umani e anche la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani hanno ripetutamente documentato le violazioni dei diritti umani cui la detenzione nei Cie ha portato». Un suggerimento arriva dalla cooperativa Auxilium, che gestisce nove centri per migranti. «L’accoglienza deve essere divisa in due fasi. Nella prima – ha dichiarato il fondatore Angelo Chiorazzo alla rivista sanfrancesco. org - dove vengono fatti tutti i controlli burocratici del caso». Nella seconda fase «il migrante - è il suggerimento - viene collocato in piccole strutture o in famiglie». Osservazioni di cui il Viminale, pressato anche dalle Regioni, dovrà tenere conto.

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