martedì 17 giugno 2014
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​Non è una bella notizia. Ma a Brembate era quella più attesa. "Ignoto 1", l’orco che s’è portato via Yara, ha un nome. Gli inquirenti ne sono sicuri. Fino all’ultimo c’era chi sperava che non fosse uno del posto, ma oramai le indagini scientifiche avevano dato un’indicazione univoca. Massimo Bossetti non è uno sconosciuto. È un magutt, come si dice da queste parti di quei manovali dell’edilizia che hanno fatto la fortuna di intere comunità. Era riuscito a farsi da solo. La madre per una vita s’è ammazzata di fatica per tirarlo su lavorando in un bar della Valle Brembana. Lui si era messo in proprio, un piccolo imprenditore edile che di recente si era fatto vedere in giro trainando con la sua Volvo un aliante, come se ne vedono tanti nei campi di volo della zona. Il più frequentato è proprio quello di Brembate, giusto sotto la chiesa da dove don Corinno Scotti, il parroco, ora chiede a ciascuno di seguire l’esempio della famiglia Gambirasio.«Penso a questa persona – riflette il parroco –. Spero che ora non prevalgano sentimenti di vendetta nei suoi confronti. La nostra comunità in questi anni è stata molto matura. Pur impaurita e ferita non ha ceduto a sentimenti di vendetta». Don Corinno è riuscito a tenere insieme un paese che rischiava di spaccarsi, respingendo il tentativo di contrapporre buoni e cattivi, i forcaioli dai buonisti. Anche ieri don Scotti ha parlato con la famiglia Gambirasio. «Il papà di Yara mi ha detto che se lei è morta è perché noi diventassimo più buoni. Se ora questa notizia verrà confermata cosa facciamo nei confronti del presunto assassino? Invochiamo la pena di morte? No, certo. A me interessa che Yara sia stata e continui ad essere un dono per la nostra comunità».Neanche due settimane fa nell’oratorio era stato inaugurato un monumento per ricordare la piccola ginnasta trascinata nel buio e abbandonata inerme in un campo dove per giorni rimase coperta dalla neve. «Se è vero che lo hanno trovato, ne siamo felici, era un atto dovuto alla famiglia e a tutto il paese», ha detto il sindaco Diego Locatelli poco prima di recarsi in casa dei genitori di Yara. «Li ho trovati sollevati per questa notizia, ma sereni come sempre», ha spiegato all’uscita.Oramai tutti si erano rassegnati all’idea che l’assassino non fosse né un immigrato ne un manovale arrivato dal sud. Se non c’era riuscito il buon senso, a sconfiggere i luoghi comuni tirati fuori per esorcizzare la paura della serpe in seno, sono arrivate le indagini scientifiche. Per oltre tre anni Brembate ha vissuto nel sospetto, una diffidenza che alla lunga avrebbe minato alla coesione della comunità. Si sapeva che il presunto carnefice era il figlio dell’autista di Gorno, nato fuori dal matrimonio e tenuto segreto per almeno quattro decenni. Ma nessuno era sicuro di chi potesse essere. «Da quando è scomparsa da casa, a Brembate, e da quando è stata trovata uccisa, attendevamo questo momento. Ringrazio tutti quelli che hanno messo tante risorse in campo per arrivare a questo risultato», ha commentato Locatelli nell’attesa di novità dagli investigatori.Bossetti ha deciso di non rispondere agli inquirenti. E per molti, dal bar di piazza Vittorio Veneto alla palestra dove Yara si esercitava agli attrezzi ginnici, quel silenzio suona come una confessione. Don Corinno invita alla saggezza e indica una strada: «Comunque andrà a finire questa dolorosa vicenda, Yara è così che deve essere ricordata: come un dono, un dono prezioso».
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