giovedì 7 marzo 2024
Menarini chiude il 2023 col fatturato record di 4,37 miliardi. L'azionista Lucia Aleotti: «Da noi competitività a rischio. Gli Usa il nostro secondo mercato. Pronti sull'intelligenza artificiale»
Da sinistra, l'ad Elcin Barker Ergun e l'azionista Lucia Aleotti

Da sinistra, l'ad Elcin Barker Ergun e l'azionista Lucia Aleotti - Ufficio stampa Menarini

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Se non fosse per le incertezze dell’economia cinese, la svalutazione della lira turca, e la scadenza del brevetto di un farmaco cardiovascolare, il fatturato del Gruppo farmaceutico Menarini del 2023, che pure ha fatto registrare la cifra record di 4,37 miliardi di euro (+ 5,3% sul 2022), sarebbe stato ben più corposo, a prescindere dall’aumento dei costi e dalle spinte dell’inflazione. Perché la prima impresa italiana del settore (18 stabilimenti nel mondo e 17.800 dipendenti) non ha mai smesso di correre, reinvestendo negli ultimi 25 anni tutti gli utili, con la conseguenza di non frequentare gli sportelli bancari in cerca di prestiti. Solo lo scorso anno, ben 480 milioni di euro sono stati dirottati in ricerca e sviluppo. Soldi che hanno consentito di raggiungere risultati rilevanti anche in ambiti relativamente nuovi ed oggi strategici, come l’oncologia e l’oncoematologia. Settori grazie ai quali, nel 2023, e per la prima volta nella storia dell’azienda fiorentina, il mercato degli Usa, con i suoi 300 milioni di euro, è diventato il secondo dopo quello italiano, che detiene il 20% del “ranking”.

Tutto merito di due “blitz” che Menarini ha compiuto oltreoceano in piena pandemia: nel corso del lockdown, nel 2020, l’acquisizione della biofarmaceutica Stemline, quotata al Nasdaq di New York; e, pochi mesi dopo, quella di un prodotto, Orserdu, di un’altra azienda, all’epoca in fase di ricerca, e che, dopo l’approvazione delle autorità regolatorie americana (Fda) ed europea (Ema), è oggi un trattamento orale per un sottotipo di tumore mammario avanzato o metastatico (Er+/Her2- avanzato o metastatico con mutazioni Esr1). La filosofia di Menarini, ha spiegato ad Avvenire l’azionista e membro del board, Lucia Aleotti, che ha presentato i dati del 2023 a Firenze, assieme all’amministratore delegato Elcin Barker Ergun, «è sempre stata improntata all’attenzione e alla prudenza. Non abbiamo mai fatto il passo più lungo della gamba. Ma ci sono momenti in cui bisogna anche avere il coraggio di fare scelte imprenditoriali importanti e audaci; in quelle due occasioni lo abbiamo fatto e i risultati sono stati positivi. Nel 2024 continueremo con la crescita negli Stati Uniti anche grazie a questo farmaco». Un prodotto che potrebbe essere presto dirottato pure verso forme precoci della stessa malattia, oppure, si ipotizza a Firenze, per altri tumori solidi.

«Ci aspettiamo molto – ha dichiarato Aleotti – anche da un altro preparato, ormai alle porte, per la leucemia mieloide acuta». I progetti di più immediato sbocco non sono finiti: «È arrivato alla fase 3 di sperimentazione un farmaco della sfera cardiovascolare (ambito che vede Menarini al sesto posto del mondo, ndr); lo attendiamo con impazienza, speriamo possa dare risultati fortemente positivi contro l’ipercolesterolemia». Nella ricerca futura ci saranno presto altri “attori”: «Abbiamo appena firmato un accordo con la società “Insilico” di Hong Kong per sfruttare l’intelligenza artificiale nell’area oncologica – ha rivelato Aleotti –. L’Ia ha due funzioni: aiuta ad individuare nuovi bersagli terapeutici; e poi suggerisce la migliore molecola per quel bersaglio».

Sul tema dell'antibiotico-resistenza, invece, «le autorità dovrebbero unirsi – ha osservato Aleotti, che è anche vicepresidente di Farmindustria –: se ci sono germi capaci di uccidere milioni di persone, vuol dire che siamo di fronte ad un’emergenza. L'unico modello che può funzionare è quello inventato per i farmaci orfani», e quindi con «premi dati alle imprese che sviluppano farmaci per malattie rare». Perché «va bene prevenire, e non abusare degli antibiotici esistenti», ma «a un paziente in ospedale con un'infezione resistente serve un antibiotico nuovo, potente, contro quel superbatterio. Se però all'azienda che sviluppa quel farmaco con enormi difficoltà, le autorità invece continuano a corrispondere prezzi degli antibiotici di 15 o 20 anni fa, allora il messaggio che imprenditori e analisti di tutto il mondo ricevono è “non investite nei nuovi antibiotici”».

Ma nessuno parli di delocalizzazione: «La nostra ispirazione internazionale non distoglie l’attenzione dall’Italia, al contrario». Ma «va anche sottolineato – ha ammonito Aleotti – che quando l’Europa si muove, lo fa mettendo regole che non tengono conto della competitività globale. L’Europa non si rende conto che ha perso un pezzo importante della propria industria. E che, mentre altri Paesi come Usa e Cina lavorano per attrarre la base industriale, qui si pensa solo a regolare, mettere oneri o aggiungere burocrazia. Non è la maniera per attirare o far sviluppare un settore vitale nel nostro continente».

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