sabato 18 febbraio 2023
Verso la Marcia Perugia-Assisi del 23/24 febbraio, a un anno dall'invasione russa. Il ruolo dei cattolici nel movimento pacifista? «Cruciale, abbiamo saputo mettere in dialogo mondi diversi»
Manfredonia (Acli): «Basta odio, perché Italia e Ue non parlano di pace?»

CARLO LANNUTTI

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Molte sono le iniziative che accompagnano il percorso di avvicinamento alla marcia straordinaria tra Perugia e Assisi che si svolgerà la notte tra il 23 e il 24 febbraio per chiedere il cessate e il fuoco e l’avvio di una seria trattativa per arrivare alla pace tra Russia e Ucraina. Oggi a Bologna i rappresentanti delle organizzazioni cattoliche e dei movimenti ecumenici e non violenti su base spirituale si troveranno nella Curia arcivescovile per un incontro dal titolo “Le armi nucleari e l’Italia. Che fare?”, che vedrà l’intervento del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Domani, nella diocesi di Cremona, è previsto un momento di incontro e di preghiera per la pace in Ucraina. L’iniziativa, promossa dalla Caritas diocesana, prevede – dopo una visita guidata della cattedrale alle 14,15 – alle 15 una Messa in rito cattolico orientale in lingua ucraina presieduto da don Vasil Merchuk. Al termine, un saluto del vescovo di Cremona, Antonio Napolioni. Le iniziative per la pace toccheranno anche le celebrazioni del carnevale di Viareggio. Domani la “Banda della pace” si esibirà in un concerto alle ore 13,30. Infine, tra il 23 e il 26 febbraio, saranno numerosissime le proposte del cartello di associazioni che si mobilitarono già lo scorso 5 novembre: cortei, fiaccolate e sit-in toccheranno Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli,Avellino, Catania, Cagliari, Perugia, Udine, Gorizia, Venezia, Verona, Padova, Reggio Emilia, Ravenna, Modena, Bologna e Pistoia.

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«Il diritto all’autodifesa del popolo ucraino è sacrosanto, ma per quanto potranno ancora difendersi? Dopo carri armati e jet, parleremo anche di armi nucleari?». Mette in fila una serie di interrogativi, Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli, una delle anime della mobilitazione pacifista in Italia, fin dalla prima ora. Senza dribblare domande scomode, che spesso si rivolgono al movimento per il cessate il fuoco “senza se e senza ma”, e invitando tutti a fare la propri parte. «In Parlamento non si vede quella maggioranza silenziosa di italiani contro la guerra - ripete Manfredonia -. Perché?»

Dal 5 novembre scorso, giorno della grande manifestazione a Roma per la pace, a oggi, ormai in prossimità del primo anniversario del conflitto, cosa è cambiato?

In termini organizzativi, quell’incontro tra mondo laico e associazionismo cattolico è stato un miracolo di coesione e impegno tra mondi diversi, grazie al cartello che si è creato con “Europe for peace”. Tre mesi dopo, si continua invece a dare voce solo alla guerra. È brutto festeggiare così questo anniversario. In dodici mesi, la guerra non ha portato a nulla e si parla sempre meno di persone, come se la vita della popolazione ucraina, di chi è rimasto e di chi è in fuga, contasse molto meno del controllo della territorio, dell’avanzamento delle truppe e dell’invio dei tank sul terreno. È drammatico che non si voglia dare voce e ascolto a chi invece continua a muoversi per la pace.

A chi si riferisce?

Ciò che stupisce è l’incapacità della politica europea di mobilitarsi per il cessate il fuoco. Detto che, dal mio punto di vista, la guerra andrebbe abolita a prescindere, è evidente che, ogni giorno che passa, diventa più difficile costruire un’alternativa: quando si diffondono odio e rancore tra le persone, poi, invertire la rotta è complicato e i percorsi di riconciliazione durano decenni, come dimostrano i faticosi percorsi in atto nella ex Jugoslavia. Lo diceva David Sassoli, che abbiamo ricordato negli incontri dei nostri circoli: l’Europa non è un incidente della storia, poiché è nata sulle ceneri del nazifascismo e si è data un orizzonte di pace. Ecco, noi dobbiamo lavorare, tanto più in questa fase storica, all’obiettivo della pace integrale: non solo la tregua, ma anche le condizioni giuste per ritrovare fraternità e giustizia.

Un traguardo che pare lontanissimo, oggi. Perché la testimonianza di pace, nel nostro Paese, sembra essere destinata a rimanere marginale e minoritaria?

Non credo sia così, la maggioranza degli italiani è stanca della retorica bellicista e chiede la pace. Lo dicono i numeri, ma purtroppo in Parlamento il 50% e oltre dell’opinione pubblica favorevole alla tregua, non si vede. Ho molto apprezzato la scelta di coscienza di Paolo Ciani di Demos, che ha votato in modo contrario rispetto al gruppo dei democratici e progressisti sull’Ucraina. Penso sia giusto e necessario chiedere coerenza a deputati e senatori su questo tema cruciale. Il problema invece è che la politica ha alzato un muro contro la società civile. Oggi siamo in una strada senza via d’uscita: mesi e mesi di bombardamenti non hanno portato a nulla. Né alla Russia, né all’Ucraina, nè alla Nato. Il conflitto semmai ha fatto tornare l’orologio della storia in una situazione peggiore rispetto all’epoca della della “guerra fredda”.

Con le Nazioni Unite sempre più fragili, però, il ricorso alla diplomazia è sempre più difficile, non crede?

La pace riguarda tutti e quel che è successo dal 24 febbraio 2022 ha portato soltanto a un ulteriore irrigidimento delle relazioni internazionali. Gli scenari geopolitici stanno diventando sempre più complicati, mentre prevalgono rigidità e chiusure. In questo senso, la profezia di Papa Francesco sulla “terza guerra mondiale a pezzi” è diventata ancora di più una realtà sotto gli occhi di tutti. Ci sono conflitti latenti che stanno aumentando, con democrazie occidentali sotto attacco che non possono rispondere alla violenza con altra violenza.

Cosa risponde a chi vi accusa di filoputinismo?

Nessuno di noi può essere tacciato di filoputinismo, perché noi tutti, dopo essere andati in Ucraina a toccare con mano la profondità della crisi umanitaria e non solo, oggi vorremmo essere con il cuore a Mosca, perché è lì che si fa la pace. Lo ha spiegato bene Francesco. Per questo serve uno scatto in più, che non è la corsa al riarmo decisa ad esempio da Germania e Polonia e avallata anche dal nostro Paese. Davvero l’Europa può parlare con la voce di Stoltenberg, numero uno della Nato? Non si può considerare marginale il popolo della pace o disegnarlo come un complice del Cremlino: è un grave errore. E non si può nemmeno parlare di “vittoria finale”, perché con la guerra perdono tutti. Di più: se siamo stati distratti per otto anni su quel che accadeva in Crimea, adesso non possiamo più esserlo.

Qual è stato e qual è il ruolo dei cattolici nell’arcipelago pacifista?

I cattolici hanno messo in dialogo mondi e sensibilità diverse, evitando il prevalere di toni duri che a volte affiorano. Questa sintonia con il mondo laico è stata davvero positiva e ha reso ancora più unito il popolo della pace. C’è bisogno di profezia e noi, a partire dalla marcia straordinaria Perugia-Assisi del 23-24 febbraio, vogliamo continuare a gridare nella notte contro tutte le guerre.

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