sabato 23 maggio 2009
A meno di due mesi di distanza, emergono dettagli da brivido sull'odissea di due barconi partiti dalla Libia in direzione del nostro Paese. Due le indagini aperte dai giudici pugliesi. Il reato ipotizzato dal pm Giuseppe Scelsi è strage colposa. Intercettate le parole-choc dei trafficanti nigeriani: «Che colpa ne ho io se c'era cattivo tempo».
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Una strage dimenticata in mezzo al mare, un caso agghiacciante di disumanità crudele e assassina. Adesso si conoscono tanti particolari di quella sciagura in mezzo al Mediterraneo, grazie alle intercettazioni registrate « in diretta » dalla Procura antimafia di Bari. La tragedia annunciata, accaduta a fine marzo, si portò via 600 migranti, affondati insieme ai due barconi. Tre volte tanto le stime fatte all’inizio, quando si parlò di circa 200 dispersi. Molte le donne a bordo dei vecchi barconi, vittime innocenti della tratta guidata da schiavisti criminali. Un episodio su cui ha aperto un’indagine proprio la Procura barese e che ha portato alla luce dettagli terribili. Ora, alla drammatica contabilità delle vittime, si aggiunge anche il resoconto delle frasi pronunciate in quegli attimi dai trafficanti nigeriani. Al telefono ­secondo quanto rivelato dai magistrati ­il trafficante parla dell’affondamento dei uno dei due battelli salpati da Sid Belal Janzur, un sobborgo di Tripoli. Un trafficante dice all’altro: « La barca si è spezzata in due » . E poi aggiunge: « Trecento persone sono morte e le venti sopravvissute sono state portate in Libia » . Dai dialoghi emerge che un trafficante rimprovera l’altro facendogli notare che « le barche si sono spezzate in due sia per la pessima qualità del legno usato per costruirle, sia per le non buone condizioni del mare » . Un altro ancora respinge le accuse che gli vengono mosse e cerca di spiegare: « Tutti danno la colpa del naufragio a me, ma che colpa ne ho io se c’era cattivo tempo...» . Altro particolare tristissimo: sulle due barche affondate c’erano donne nigeriane che sarebbero dovute arrivare in Europa per entrare nel giro della prostituzione, organizzata da loro connazionali. Con loro anche semplici fuggiaschi che avevano pagato il « biglietto » del viaggio in mare per essere traghettati in Italia. Su un’imbarcazione erano state ammassate 253 persone, sull’altra 365. Una sorte migliore è toccata invece a un’altra nave partita nello stesso giorno dalle coste libiche: gli irregolari in quel caso erano 350 e furono soccorsi e salvati da una nave cisterna italiana. Da circa due mesi all’indagine sulla tratta si è aggiunta l’inchiesta sul naufragio. Il reato ipotizzato dal pm Giuseppe Scelsi è strage colposa. Nel registro degli indagati è finito il nome di un cittadino nigeriano che sarebbe tra i responsabili dell’affondamento dei due barconi e tra i boss che gestiscono il racket delle giovani schiave. Dagli atti dell’indagine risulterebbe che le giovanissime nigeriane morte erano state acquistate dalla banda nei villaggi nigeriani. Con le carovane avevano attraversato il deserto del Niger ( dove alcune di loro sarebbero morte di stenti), fino a raggiungere le basi libiche dell’organizzazione criminale. Da qui erano state caricate sui barconi e spedite in Italia, dove sarebbero state vendute ad altre organizzazioni che le avrebbero sfruttate come prostitute. Dopo aver raccolto tutti questi elementi investigativi, l’attenzione degli inquirenti baresi è rivolta alla Libia, che però non ha ancora risposto a una richiesta di rogatoria inviata ormai sei mesi fa. In quell’occasione, si chiedeva un contatto con le autorità giudiziarie libiche e qualche riscontro investigativo sulle indagini. Fino a oggi però Tripoli ha preferito non rispondere.
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