mercoledì 28 dicembre 2011
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Sudore. Colpi da portare e, soprattutto, incassare. Allenamenti e sofferenza. Sconfitte da affrontare e custodire, perché altre vie verso la vittoria non esistono: specie quando sei ragazzino, il futuro sembra un buco nero che t’ha ingoiato e scopri che invece puoi ancora uscirne. Nel cuore di tanti scugnizzi, quelli reietti, quelli cresciuti troppo presto e assai male su certe strade napoletane, «c’è molto di buono», dice Gianni. A novembre, durante una gara, «uno dei miei di Ponticelli stava picchiandosi col servizio d’ordine: l’ho raggiunto, ha vent’anni, gli ho dato una carezza, l’ha fatta finita ed è venuto via».Bisogna andare per le spicce: «Con qualcuno non c’è più niente da fare e non per colpa sua. Ma gli altri si riesce a stimolarli, magari proprio dando loro delle responsabilità, e a farli crescere. Spesso, quando andiamo a gareggiare fuori, a loro affido i più piccoli della palestra, compreso mio figlio. C’è una gara all’estero? Prima di partire dico: "Sei tu il responsabile di questi quattro". Nessuno mi ha mai tradito».Ha quarantanove anni Gianni Di Bernardo: «ex-atleta» si definisce. È stato vicecampione del mondo e campione europeo di kickboxing, disciplina sportiva di combattimento e contatto che utilizza le tecniche del karate mescolate a quelle pugilistiche ed è associata al Coni. Nelle sue tre palestre praticano (anche il karate) trecento ragazzi dai quattro anni in su e metà di loro aveva/ha più che un piede dentro quel buco nero.Gianni comincia nel 1986 e, almeno dal 2004, l’"Asd Winner Team Napoli Italia" è la squadra di kickboxing che siede in cima al mondo insieme ad un’altra ungherese. Gli ultimi sono diventati primi. Basta dare un’occhiata a medaglie, trofei e coppe che arredano le pareti della palestra al Vomero, dal pavimento al soffitto. E niente distinzioni qui dentro: il figlio del camorrista è come quello del grande professionista ed entrambi crescono insieme.«Molti anni fa eravamo a Cervia per alcune gare – racconta Gianni –. Il custode di un centro sportivo scoprì un nostro ragazzo a rubare portafogli e parecchio altro, chiamò i carabinieri e questi lo arrestarono, portandolo subito in caserma. Andai lì di corsa, spiegai chi era quel ragazzo, cos’era stata la sua vita fino a quel momento, chi eravamo noi e cosa stavamo cercando di fare con lui. I carabinieri furono magnifici: lo rilasciarono, affidandocelo, e si misero addirittura a nostra disposizione. Quel ragazzo oggi è un finanziere delle Fiamme Gialle».Si cammina fianco a fianco con le famiglie quando è possibile: il lavoro di Gianni e dei suoi non si ferma allo sport. «Anche perché se viene un papà a dirmi che vuole la figlia o il figlio diventino campioni, gli rispondo che è da ricoverare».Molti ragazzi non pagano: non possono permettersi neanche la quota mensile della palestra, ma «non è un buon motivo per lasciarli andare via». Allo stesso modo se qualcuno ad esempio non può comprarsi i guantoni, «glieli regaliamo noi». E facendo così è stata già tirata fuori qualche ragazzina anche dall’anoressia. Certo – ripete Gianni – «da solo non concluderei niente, ci vuole un’équipe, cominciammo io e Roberto Montuoro, ora siamo tre amici più due ragazzi che abbiamo "cresciuto", diventati insegnanti di scienze motorie».La vita, quella sportiva e quella di ogni giorno, qui si costruisce col sudore e la fatica. Però inutili senza le regole, che «sono la cosa più importante, quella ci fa stare tutti uniti». Chi le viola «subisce una punizione, che può essere magari la mancata partecipazione a una gara o un allontanamento temporaneo dalle attività o non ricevere un premio finale». Appelli non sono previsti: «Chi sbaglia, paga. Punto».Certi ragazzi vissuti sulla strada «hanno una gran rabbia dentro e in palestra possono sfogarla: mettono i guantoni, il caschetto e combattono… Ma devono farlo seguendo le regole. Senza queste non si va, mai, da nessuna parte. E per chi non le rispetta in palestra ci siamo noi, nella vita ci sono i carabinieri». A cominciare dalle minime: «Innanzi tutto qui vietiamo di parlare in napoletano o dire parolacce, guai a chi lo fa».Una volta, durante una gara a Rimini, un ragazzo litigò duramente col servizio d’ordine e per ripicca rubò dei materassini: «L’ho tenuto fermo un anno, ma con l’obbligo di venire ugualmente in palestra e se non l’avesse fatto sarebbe stato espulso. Quel ragazzo adesso lavora per me». E il rischio che se ne andasse? «Dovevo correrlo, se volevo salvarlo».Anche più di qualche tossico fa parte dei ragazzi della "Asd Winner Team Napoli Italia": «Se è necessario, li denuncio, ma non li abbandono e continuano a venire. Uno l’abbiamo tirato fuori, spero, grazie a uno stratagemma messo in piedi con la complicità dei suoi genitori: lo arrestarono e spedirono in comunità anziché in carcere. Lì ha finito, ha scontato la pena ed è in perfetta forma: viene qui per ora una volta al mese».Con la droga è più complicato. «Il sacrificio è che magari i genitori di un ragazzo ti telefonino a mezzanotte perché il figlio sta facendo casino e allora devi andare là, prenderlo, calmarlo…». Poco male. Per dare una possibilità diversa a quei ragazzi «lo si fa senza problemi».I camorristi non fiatano, né danno fastidio: «Anzi, abbiamo diversi figli di quelle persone. Diciamo che li portano da noi proprio perché stanno più tranquilli: sembra inverosimile, ma va così». E nonostante il pericolo che prendano una… buona strada: «Infatti, è questo il "problema" dei loro genitori. Tanto più che anche quei figli, presi in tempo, si riesce a tirarli fuori. E che i ragazzi per noi sono tutti uguali».I rapporti col Comune di Napoli sono inesistenti: «Non ci aiutano in nulla, non abbiamo un euro di finanziamenti. E per avere la sola disponibilità di una struttura per una manifestazione sportiva siamo dovuti andare a protestare in assessorato – racconta Gianni –. Nel 2008 abbiamo organizzato il campionato mondiale giovanile (da 10 a 18 anni, ndr) e siamo andati a farlo a Monte Ruscello», una frazione di Pozzuoli.Una sera al mese ragazze, ragazzi e allenatori vanno a mangiare la pizza insieme, mogli e figli compresi. E «organizziamo un campo estivo ogni anno: tre giorni nei quali quasi tutto è permesso, così farci un gavettone o svegliarci di notte per i ragazzi è uno spasso». Domenica, per Capodanno, ci sarà una gran festa, sempre tutti insieme.Anche i down praticano la kickboxing: «Uno spettacolo! Serve un po’ più tempo per insegnare loro le cose, ma stai certo che una volta apprese, non le dimenticheranno mai più, neanche a distanza di anni. Un ragazzo down con noi è arrivato fino alla cintura blu, un orgoglio, e ancora viene a trovarci...».
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