mercoledì 23 marzo 2011
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I francesi lo chiamano il «mediatore invisibile» e Mario Giro, responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio non ha cambiato idea sulla guerra, «che è sempre un errore e un male da evitare». Ma questa, osserva, «non è una guerra». Giro, molti sostengono che si sia arrivati ai bombardamenti troppo in fretta, senza lasciare spazio alle trattative diplomatiche. È vero?Rispetto alle altre rivolte esplose nel Nordafrica, ci sono due differenze sostanziali e noi occidentali, che ci siamo sempre disinteressati della Libia, siamo rimasti spiazzati dagli avvenimenti. Primo, a Tripoli da 42 anni comandano un dittatore e il suo clan. Secondo, la Libia non è mai diventata uno stato per colpa di questa dittatura, bensì un insieme di tribù, ciascuna con i propri interessi. Non c’è nemmeno un esercito, ma diverse milizie. Davanti alla legittima richiesta di democrazia da parte del popolo libico, Gheddafi ha risposto con le bombe. Se l’Onu non avesse votato la risoluzione della "no fly zone" e non fosse intervenuta, il dittatore avrebbe soffocato nel sangue la rivolta. Dunque lei è favorevole ai raid aerei?Favorevoli ad azioni di polizia internazionale come questa, che proteggono la popolazione civile. Siamo contro la guerra, ma questa non è una guerra, c’è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che pone dei paletti. In Libia l’intervento militare sotto mandato Onu ha un obiettivo preciso, impedire a un dittatore di bombardare un popolo che vuole costruire uno stato moderno. Lo stesso consiglio rivoluzionario di Bengasi ha chiesto che non vi siano interventi di terra, il conflitto devono e vogliono risolverlo da soli.Se non ci fosse di mezzo il petrolio sarebbe intervenuta l’Onu?Ritengo che la questione petrolio sia diventata un’ossessione. Ce lo vendeva Gheddafi e ce lo venderà chi governerà dopo di lui. Punto. Piuttosto l’entità dei beni del dittatore e del suo clan congelati negli Usa dimostra che i proventi del petrolio sono stati utilizzati per arricchimento personale. Il che legittima ancor più la rivolta popolare. Possiamo fidarci dei ribelli o corriamo il rischio di trovarci un regime integralista alle porte?Non sappiamo chi sono e cosa vogliono, neanche loro probabilmente lo sanno dopo 42 anni di oppressione. Sappiamo, però, che la cosiddetta primavera araba ci consegna una novità: è cresciuta nella popolazione del mondo arabo la coscienza dei diritti civili e il desiderio di democrazia. Non a caso l’esercito tunisino e quello egiziano si sono comportati con responsabilità. Ma in Libia non c’è un esercito, ci sono i mercenari e le guardie del regime e serve l’aiuto dell’Onu.Se cade Gheddafi non rischiamo un esodo di profughi sbarcheranno sulle nostre coste?Anche questa è un’ossessione. Certo, ma sarà temporaneo e andrà gestito dall’Ue. Del resto si gridava all’emergenza dopo i primi sbarchi e ora si scopre che abbiamo 50 mila posti.Come va gestito il problema?L’unica via è rinunciare alla sovranità nazionale sulla questione migranti affrontandola a livello europeo. Quindi servono accordi tra l’Unione europea e l’Unione africana. Italia ed Europa si sono accordati con Gheddafi perché bloccasse gli eritrei, i somali, gli etiopi e i subsahariani. Ma i tappi non possono fermare la storia.
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