Il box dove Maria Campai è stata uccisa da un 17enne, a Viadana - Ansa
Dal «mi sentivo un corpo estraneo», confessato dal 17enne che ha sterminato la famiglia aPaderno Dugnano il 31 agosto, a «non so perché l’ho fatto», detto dal 16enne che ha ridotto in fin di vita il vicino di casa colpendolo con una mazza da baseball, martedì scorso a Cesano Maderno, fino all’ultimo, straniante perché: «Volevo vedere cosa si prova a uccidere». Questa la spiegazione data dal 17enne che ha ucciso Maria Campai, 42 anni, dopo aver avuto un rapporto con la donna, contattata on-line, a Viadana, nel Mantovano. In tutti gli ultimi casi di cronaca che coinvolgono minori (e anche in molti delitti commessi da persone adulte, come nel caso di Terno d’Isola, tanto per citare un caso limite, e il limite in questo caso è la follia) il movente sembra una pura formalità.
Per lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lacini, presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano e docente all’Università Milano-Bicocca e all’Università Cattolica di Milano «il fatto che non ci sia il movente nel senso classico, ovvero nei termini di causa - effetto, non significa che non esista». «Il movente è nell’aspetto emotivo, che rimane inespresso e confinato in una dinamica interna al giovane», sostiene Lancini.
Apparentemente lucido, senza segni di pentimento e senza versare una lacrima, collaborativo, ma allo stesso tempo distaccato nello spiegare agli investigatori dove andare a cercare il cadavere: «È lì, sotto a quella pianta, l’ho nascosto in quel giardino, sotto delle foglie». Anche nel caso dell’ultimo giovane presunto omicida sembra emergere il ritratto in fotocopia di una persona che non vuol mostrare emozioni. «Senza entrare nel caso specifico, che sarà di competenza degli specialisti che sentiranno questo ragazzo, possiamo dire che quando ci troviamo di fronte a una situazione apparentemente senza spiegazione, è nella dimensione emotiva ed affettiva che dobbiamo ricercare i motivi. Le emozioni che rimangono senza voce trovano espressione in azioni disperate; azioni violente rivolte contro il prossimo, e gesti di autolesionismo, che sono la maggioranza, e di cui si registra un aumento, anche se non hanno naturalmente la stessa visibilità delle prime», prosegue Lancini.
Il giovane fermato è un appassionato di arti marziali e, ossessionato dalla forma fisica: «Essere magro per tutta la vita mi ha fatto pensare di farla finita, non sono riuscito a trovare una ragazza (e non ci riesco ancora e ho perso fiducia in me stesso). Ma il giorno in cui ho scoperto la palestra e ho iniziato ad allenarmi e a mettere su massa muscolare ho continuato ad andare avanti e ora sono andato in palestra per un anno. Mi pento di molte cose che ho fatto, ma andare in palestra non è una di queste», scriveva su Tiktok. Ha postato lo screenshot di un giocatore che a Fortnight aveva scelto come nick name «Filippo Turetta». Su internet ha cercato: «Come neutralizzare una persona a mani nude». Cosa che, stando al primo esame del medico legale avrebbe messo in pratica nel sopprimere la sua vittima. Al momento del delitto, avvenuto nel garage attrezzato a palestra, la sera stessa della scomparsa della donna, il 19 settembre, i genitori erano in casa e non si sono accorti di nulla. Il padre l’ha descritto come un «pezzo di pane», la madre ha detto che studia e basta. Nel caso di Paderno Dugnano la fiducia assoluta che il genitore aveva per suo figlio è comprovata dalla dinamica della strage: gli ha chiesto di posare il coltello e di chiamare il 118, dopo che aveva già colpito mortalmente il figlio più giovane e la moglie, e quando l’uomo si è chinato a soccorrere quest’ultima è stato colpito a sua volta. Diverso ancora è il caso di Cesano, dove anche se il ragazzo non era in cura, pare soffrisse di disturbi mentali.
«Tengo sempre a precisare che non parlo dei singoli casi specifici. Ma, in base alla mia esperienza, la domanda che mi faccio è: come mai oggi nelle famiglie, dove, rispetto al passato, rispetto ai nostri genitori, alle vecchie generazioni, i figli sono sicuramente ascoltati di più, i giovani si sentono anche più soli?», si chiede Lancini. «Attenzione non stiamo parlando di famiglie disagiate, ma di famiglie cosiddette normali. Ebbene, la prime risposte che si sentono è che gli adolescenti sono viziati, che non sanno cavarsela da soli: che i social, internet, ecc. Ma sono risposte stupide o superficiali. Io penso che i genitori oggi ascoltano... ma solo quello che vogliono, e che non li disturba. Con l’esclusione quindi delle emozioni autentiche dei figli, che sono perturbanti. Il lavoro, la vita di tutti i giorni ci spingono a questo (non) ascolto selettivo. Ma questo significa allontanare i propri figli, tradire il patto di fiducia con loro. Il che li rende (e ci rende) più soli e più fragili».