sabato 12 novembre 2022
Alla Messa del Papa in prima fila i bisognosi. Poi il pranzo per 1.300 indigenti nell’aula Paolo VI. Parla l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Redaelli, presidente di Caritas italiana
Domenica 13 novembre, la Giornata mondiale dei poveri

Domenica 13 novembre, la Giornata mondiale dei poveri - Diocesi

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La Messa che questa domenica, alle 10, papa Francesco celebrerà nella Basilica Vaticana costituisce l’evento centrale della Giornata mondiale dei poveri. A seguire il pranzo nell’aula Paolo VI al quale parteciperanno circa 1.300 persone. Intanto da lunedì scorso, dopo due anni di interruzione a causa della pandemia, è tornata in piazza San Pietro l’iniziativa del Presidio sanitario gratuito a favore di chi non ha mezzi per farsi visitare da medici e specialisti. Il presidio assicura anche la distribuzione di farmaci necessari a curare diverse patologie. I diversi ambulatori di cui è stata dotata la struttura hanno offerto visite di medicina generale, elettrocardiogrammi, analisi del sangue, vaccini antinfluenzali e tamponi Covid. Possibili anche test per scoprire virus come l’Hcv (epatite C), l’Hiv e la tubercolosi. «L’intuizione di papa Francesco di istituire la Giornata mondiale dei poveri trova sempre più radicamento nella Chiesa», ha commentato l’arcivescovo Rino Fisichella, cui fin dal 2016 è demandata l’organizzazione dell’appuntamento.

La VI Giornata mondiale dei poveri è una sana provocazione, come dice papa Francesco, «per aiutarci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente». In un’ottantina di diocesi sono previste oggi iniziative di sensibilizzazione organizzate dalle Caritas che a livello nazionale ha realizzato una mini campagna con lo slogan “Nella relazione, la libertà”.

Chi vuole partecipare alla campagna può scaricare dal sito www.caritas.it e utilizzare le copertine Facebook e Twitter con il motto della campagna e rilanciare i post che si susseguiranno sui canali social di Caritas italiana. Abbiamo chiesto al presidente dell’organismo pastorale della Cei, l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, di aiutarci capire il senso dell’iniziativa.

«Se mi è consentita una battuta – esordisce – la Giornata voluta da Francesco sta diventando un’abitudine da interpretare bene. Da una parte, non dobbiamo rimanere indifferenti, pensare che sia la stessa cosa se i poveri ci sono o meno: appunto “abituarci” e in qualche modo rassegnarci al fatto che ci siano i poveri. Dall’altra, dev’essere una Giornata che sollecita l’attenzione “sincera e generosa” di tutti, come chiede il Papa nel suo messaggio “Gesù Cristo si è fatto povero per voi”. Credo che Francesco voglia chiederci che la vicinanza verso chi soffre facendogli spazio diventi, questa sì, una vera abitudine, un modo di essere delle nostre comunità. Non basta stare un momento con gli ultimi o esibirsi servendoli magari alla mensa. C’è bisogno che nelle nostre comunità ci sia una vera accoglienza. Dobbiamo fare posto ai poveri nei nostri orari, nelle nostre abitudini far capire loro che sono importanti nella nostra quotidianità». 

Non c’è nelle nostre comunità cristiane un eccesso di delega alla Caritas e agli altri gruppi caritativi?

Il rischio vero è infatti quello di delegarla a chi già se ne occupa. Il Papa nel suo messaggio cita l’apostolo Paolo che organizza una grande colletta per i poveri a Gerusalemme su sollecitazione degli altri apostoli ricordandoci il compito della comunità. Davanti ai poveri non si fa retorica, ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede, attraverso il coinvolgimento diretto di ciascuno nel proprio piccolo assumendoci le nostre responsabilità. È la carità della porta accanto. Ad esempio davanti a un vicino anziano in difficoltà o a una persona bisognosa incontrata sotto casa, il primo pensiero non deve essere quello di chiamare la Caritas, ma di occuparcene in prima persona. L’altra cosa importante è l’impegno dei laici nei gruppi organizzati al servizio dei poveri nelle comunità promuovendo lo spirito di accoglienza.

Durante la pandemia e la conseguente pandemia sociale la società italiana è stata attraversata da una scossa potente: tante persone si sono chinate verso la sofferenza altrui. Che cosa è rimasto di quello spirito?

Siamo una realtà sociale che spesso offre risposte generose sulla spinta emozionale. Papa Francesco nel suo messaggio parla della pandemia sociale che stava per essere superata, quando è scoppiata la guerra in Ucraina. All’emergenza profughi diverse comunità hanno risposto con l’accoglienza, ma in altre situazioni è mancata la stessa disponibilità. Non è stata insomma garantita la continuità di questa attenzione al povero. Lo sguardo di carità che abbiamo avuto durante la pandemia deve allargarsi a livello internazionale visto il contesto di “terza guerra mondiale a pezzi”, di aggravamento della povertà globale per le conseguenze del conflitto russo-ucraino e per le emergenze climatiche. Il Covid e la guerra in Ucraina ci lasciano un insegnamento importante che non va lasciato cadere: la fragilità della nostra condizione.

Che cosa comporta stare con i poveri?

Interrogarsi sulle cause dell’impoverimento, guardare alla realtà quotidiana con occhi diversi. Penso alla mancanza di lavoro e al lavoro precario, agli sforzi spesso insostenibili delle famiglie per pagare le bollette. Tutti problemi che richiedono azioni concrete sul campo a ogni livello, da quello personale a quello comunitario che include un forte invito alla politica. Però il punto di partenza è la prossimità.

Come sensibilizzare in particolare i giovani?

Sottolineando i due tipi di povertà individuate dal Papa. Quella che uccide, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza, della distribuzione ingiusta delle risorse, imposta dalla “cultura dello scarto”. I giovani in particolare devono impegnarsi per cambiarla. Ma con lo spirito d’amore della seconda povertà, quella che libera, che porta a uno stile di vita diverso, alla sobrietà, all’attenzione al Creato, alla condivisione.

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