venerdì 14 ottobre 2022
Il 16 ottobre la Giornata mondiale. Nel mondo 828 milioni di persone soffrono la fame. Martina (Fao): intervenire subito e in modo efficace, vuol dire fare la differenza tra la vita e la morte
Taita, Kenya: giornata mondiale per la formazione degli agricoltori locali

Taita, Kenya: giornata mondiale per la formazione degli agricoltori locali - Fao

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«Quest’anno in particolare, stiamo vivendo una sfida enorme: Covid, conflitti e cambiamento climatico hanno fatto esplodere ulteriormente il dramma della sicurezza alimentare e della fame nel mondo». Per la Giornata mondiale dell’alimentazione che si celebra questa domenica 16 ottobre, il vicedirettore generale della Fao e già ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina lancia l’allarme sui numeri che rischiano di segnare un nuovo drammatico record. «Solo la cessazione dei conflitti - e non solo quello di Russia e Ucraina -anche quelli meno conosciuti e che i più ignorano - può sfamare il mondo».

Quest’anno il tema della Giornata é “Non lasciare nessuno indietro” – un richiamo forte, di fronte alla crescente crisi alimentare globale e al numero sempre più alto di persone a rischio fame, soprattutto in Asia e Africa.

Il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è infatti in aumento : 828 milioni nel 2021, secondo l’ultimo rapporto sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione della Fao e 3,1 miliardi di persone non possono ancora permettersi una dieta sana.

«Tra il 2020 e il 2021, in un solo anno, abbiamo avuto un incremento della fame del mondo nell’ordine di 50 milioni di persone - spiega Martina - e queste tendenze purtroppo sono ancora davanti a noi e ci aspettiamo un altro anno complicatissimo».
Come spesso accade, sono i più svantaggiati a dover lottare di piú. Le donne, i giovani, i popoli indigeni e i piccoli agricoltori, in particolare quelli intrappolati in conflitti di lunga data, sono anche quelli che di solito sono più colpiti dai disastri naturali e causati dall’uomo e sono spesso emarginati a causa del loro genere, origine etnica o status, il che significa che lottano per tutto, per accedere alla formazione, al credito, all’innovazione e alle tecnologie.

La mappa della fame nel mondo include 19 hotspot più critici che vanno dall’Afghanistan allo Yemen, da Haiti ad alcune aree dell’Africa, come l’Eritrea, l’Etiopia, il Sud Sudan. «In queste aree la combinazione dei conflitti locali, del cambiamento climatico e degli effetti della pandemia stanno aggravando questa situazione già molto fragile in partenza».

Ma anche alle nostre lattudini la fame può fare molto male: soprattutto per i più anziani, le persone sole, o le famiglie monoreddito con più figli. Qui la povertà alimentare si annida nella povertà assoluta. «L’impatto dell’aumento dei costi si riflette sulla loro capacità di approvigionamento e quindi sulle loro diete sane o non sane» aggiunge il numero uno della Fao in Italia. Qui, nei Paesi occidentali, il rischio è quello di vedere esplodere le disuguaglianze. «Quando diciamo “nessuno deve essere lasciato indietro” significa che dobbiamo tessere i rapporti con i più fragili».

“Non lasciare nessuno indietro” significa quindi lavorare su più fronti contemporaneamente. Per la Fao, significa accelerare le trasformazioni dei sistemi agroalimentari, specie per le popolazioni rurali piú vulnerabili. In quei Paesi dove i popoli indigeni sono anche i custodi di gran parte della biodiversità della terra. Diventa così importante anche il sostegno alle piccole aziende agricole. A livello globale circa un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo è frutto del lavoro dei piccoli agricoltori, ovvero di 5 aziende agricole su 6 che hanno meno di due ettari di estensione, sfruttano soltanto il 12% circa di tutto il suolo agricolo del pianeta e producono approssimativamente il 35 % dei generi alimentari mondiali.

Sono una delle fondamenta dei sistemi agroalimentari mondiali, eppure troppo spesso sono intrappolati in cicli di povertà e insicurezza alimentare ed esclusi dalle opportunità nei sistemi dominati dai grandi produttori e rivenditori.

«Per noi che lavoriamo con 194 Paesi si tratta di rafforzare la nostra capacità di intervento diretto in quelle aree del mondo in più sofferenza - prosegue Martina - dove il nostro intervento può davvero fare la differenza tra la vita e la morte». Un esempio pratico? I due recenti progetti sviluppati in alcune zone periferiche dell’Egitto: il primo rivolto a donne allevatrici che ha migliorato la capacità di produrre foraggio nutriente e quindi miglior e maggior cibo e latte dagli animali per la comunità; il secondo ha riguardato la realizzazione di un irrigatore a goccia per la coltivazione dei pistacchi. «Così sprecano meno acqua, sono più produttivi e riescono ad avere maggiori introiti».

Ma le istituzioni e noi tutti cosa possiamo fare per combattere la fame? Per le istituzioni aumentare la capacità di intervento con politiche sociali e di sostegno per i cittadini, ne è convinto Martina. «Ma significa anche non voltarsi dall’altra parte - aggiunge - chi può deve dare una mano. Per una realtà come quella italiana significa poter tornare a mettere al centro l’attenzione e il protagonismo del terzo settore».

C’è una strettissima relazione fra fame povertà e solitudine per questo motivo «non dobbiamo lasciare i più fragili da soli perché la solitudine chiama la povertà e la povertà chiama la fame».

Per le istituzioni e i governi, l’appello più importante riguarda «la consapevolezza che solo la pace può sfamare il mondo: lotta alla fame e pace sono due facce della stessa medaglia e questa consapevolezza la dobbiamo avere tutti».

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