«A Rondine abbiamo preso un impegno: vogliamo una storia senza più guerra»

di Antonella Mariani, inviata a Rondine (Arezzo)
Parla il fondatore della Cittadella della pace, Franco Vaccari: il nemico nasce dalle relazioni che degenerano, per questo occorre gestire il conflitto prima che esploda. Siamo pronti a ospitare qui un tentativo di mediazione sull'Ucraina
December 30, 2025
«A Rondine abbiamo preso un impegno: vogliamo una storia senza più guerra»
Il fondatore di Rondine, Franco Vaccari, al centro con i giovani di Rondine, la Cittadella della pace sorta a pochi chilometri da Arezzo
Un ministro in Georgia, tre viceministri in altrettanti Paesi caucasici, una leader della rivoluzione democratica del 2018 in Armenia. E poi il fondatore di un istituto universitario per i diritti umani in Sierra Leone, due giovani ideatrici di un museo per i bambini a Sarajevo, monito contro ogni guerra… C’è un po’ di Rondine in tutto il mondo, grazie alla “disseminazione” che la Cittadella della pace ha compiuto in quasi 30 anni di attività e che con il suo metodo di trasformazione dei conflitti è arrivata fino all’Onu e fino alla candidatura al Premio Nobel per la pace. All’origine di questo sogno di pace radicato nel piccolo borgo recuperato dall’abbandono a pochi chilometri da Arezzo c’è l’avventura umana e spirituale di Franco Vaccari, 73 anni, psicologo e attivista, cresciuto nell’effervescenza della Chiesa post conciliare. È proprio nella dolcezza della natura toscana, tra i casali in pietra ristrutturati di Rondine che incontriamo il fondatore, uomo carismatico e profetico, capace di guardare negli occhi la complessità per affrontarla nelle relazioni.
Presidente Vaccari, racconti come di una certa lettera a Raissa Gorbaciov...
Eravamo un gruppo di giovani, alla fine degli anni Ottanta, che con amici e ai collaboratori di Giorgio La Pira (scomparso nel 1977, ndr) avevano riscoperto l’eredità del viaggio che il sindaco-santo aveva compiuto in Unione Sovietica trent’anni prima. Stava esplodendo la perestroika; proponemmo di avviare con i giovani un dialogo sulla pace. Scegliemmo una persona, San Francesco d’Assisi, e parlammo di lui ai russi attraverso una rappresentazione teatrale. All’ambasciata sovietica a Roma portai una lettera indirizzata a Raissa Gorbaciova, allora presidente del Fondo Sovietico per la cultura. Inaspettatamente lei ci rispose, ci invitò mettendoci sotto la sua protezione. Fu il primo spettacolo religioso dalla Rivoluzione di Ottobre. Attraverso mille peripezie, incontrammo centinaia di persone, gli intellettuali che erano stati internati nei gulag, tantissimi giovani che ci chiedevano di parlare di Dio. A Mosca accadde una specie di innamoramento per la nostra idea di pace. Stava nascendo una storia…
Dopo Gorbaciov arrivò Eltsin e nel 1994 scoppiò la prima guerra di Cecenia. Come andò che vi chiamarono per una mediazione di pace?
In quegli anni avevamo stabilito relazioni importanti con gli ambienti intellettuali di Mosca. Fummo condotti dal capo della comunità cecena. Iniziarono sei mesi di trattative segrete. Il 29 maggio 1995 raggiungemmo l’accordo per una tregua di 72 ore. Che però a metà saltò.
È così che è iniziata l’avventura di Rondine, Cittadella della pace?
Sì. I giovani ceceni non potevano più studiare a Grozny a causa della guerra e i nostri amici ci chiesero di portarne alcuni in Italia. Noi rispondemmo di sì, a patto che si trovassero altrettanti studenti russi per vivere insieme l’esperienza di una possibile convivenza tra popoli nemici. Era quello che ci interessava: ospitare chi volesse impegnarsi contro la guerra.
Nel 2011 Rondine si impegnò anche per la Georgia, che tre anni prima era stata invasa dalla Russia. Cosa successe?
In virtù della nostra esperienza russa, riuscimmo a costruire un percorso di diplomazia popolare, animato dai giovani formati a Rondine. Chiamammo a raccolta in un luogo simbolico a noi particolarmente caro, il santuario francescano de La Verna, 130 rappresentanti di 13 popoli caucasici: ci chiudemmo li, intervallati un giovane e un adulto, perché proprio i giovani fossero i protagonisti. Tutti insieme elaborammo 14 sentieri di pace facilmente praticabili, dallo sport alla cultura, fino alla riscrittura dei libri di storia. Suggerimenti concreti, che decidemmo di portare ai governi del Caucaso del sud con l’intento di aprire i confini di guerra. Entrammo in Armenia, poi in Abcasia: fummo i primi a passare dallo scoppio della guerra, sul fiume Enguri, in un silenzio spettrale. Il nostro passaggio ha avuto una forza simbolica e morale potente: i giovani di Rondine lavorano per aprire confini, costruire ponti, abbattere muri… È il pensiero di La Pira messo in pratica.
In questi anni quanti giovani si sono formati alla Cittadella della pace?
Più di 300 giovani leader internazionali con il percorso che dura due anni. I primi sono stati 3 studenti ceceni e 2 russi, all’inizio non volevano nemmeno stringersi la mano. Abbiamo avuto tante nazionalità diverse: serbi, bosniaci e kossovari, israeliani e palestinesi, armeni e azerbaigiani, nigeriani, maliani, colombiani… Hanno tra i 22 e i 28 anni, coppie di nemici provenienti da Paesi in guerra tra loro, ma non vogliono arrendersi alla loro condizione. Alla World House sperimentano che il nemico può diventare un collaboratore e in qualche caso perfino un amico. Vivono nella comunità di Rondine e frequentano un master nelle università del Centro Italia, preparandosi a un impegno nei loro Paesi. Il nostro obiettivo è costruire una piccola comunità senza odio che faccia da lievito.
Rondine vuole disseminare il proprio metodo di dialogo per la trasformazione dei conflitti in tutto il mondo. È molto ambizioso...
I 300 giovani che abbiamo formato sono tornati nei loro Paesi e ciascuno sta costruendo un mondo diverso coinvolgendo attivamente centinaia di altre persone. A loro si uniscono i giovani italiani che frequentano il Quarto Anno Liceale a Rondine e gli studenti che frequentano le Sezioni Rondine in circa 50 scuole italiane. La pace può germinare anche da piccoli numeri: noi ci crediamo davvero, in un mondo senza guerra.
Davvero? Professor Vaccari, lei non crede che la guerra sia un elemento ricorrente e inevitabile della storia umana?
No, io credo che sia possibile una storia umana senza guerra. Non senza violenza, ma senza guerra. Perché la guerra necessita della costruzione del nemico. E il nemico si costruisce nelle relazioni che degenerano lentamente. Noi diamo il nostro piccolo contributo a una storia senza guerre.
Utopia?
No, non è utopia. Lo sarebbe se non credessimo che la pace passa anche attraverso ciascuno di noi e dalle relazioni. La pace non è uno stato definitivo, ma un processo permanente, una fioritura che passa attraverso il conflitto gestito e orientato in modo generativo.
A chi scriverebbe, oggi, una lettera?
Forse a Putin. Gli direi che amo il suo Paese, che Rondine è debitrice agli incontri di pace avvenuti in Russia e che credo che il popolo russo abbia un grande destino per la pace nel mondo. È un pensiero che ho ereditato da La Pira.
Perché è così faticoso raggiungere un’intesa per la pace in Ucraina?
Da 14 anni c’era un conflitto che è stato rimosso, ignorato, rinviato dall’Occidente per convenienza o opportunismi vari. Non sono state ascoltate le attese delle parti, non si sono proposte soluzioni. E il conflitto già degenerato è esploso in guerra. È la dimostrazione che l’ipotesi di Rondine è vera: nei conflitti occorre costruire relazioni. Partendo dalle esistenze quotidiane in cui si generano i focolai dell’inimicizia.
Perché l’Europa non riesca a far sentire la sua voce?
Lo ha detto papa Leone: dobbiamo riscoprire le radici cristiane, perché in esse vivono i valori insopprimibili e inclusivi, un punto di civiltà, di coesione, di dialogo rispetto agli egoismi irrazionali rispecchiati nei sovranismi. Mi preoccupa vedere ancora oggi l’Europa divisa, separata, non in grado di gettare ponti veri e ostinati di dialogo con la Russia. La politica parla della “inevitabilità” del riarmo. Contesto questa idea. Non c’è nulla di ineluttabile, non è vero che ciciclamente l’umanità “deve” affrontare una guerra. Così ci arrendiamo. È la resa delle nostre coscienze.
Rondine si renderebbe disponibile, con i suoi giovani, a intraprendere un tavolo negoziale per l’Ucraina?
Sì, la Cittadella della pace è stata ed è disponibile a ospitare qualsiasi tentativo di mediazione.
Il Papa nel suo messaggio del 1 gennaio parla di “pace disarmata e disarmante”. Ha qualcosa da aggiungere?
Amo soprattutto l’aggettivo “disarmante” perché mi fa pensare a San Francesco, “ridicolo” nel suo saio ruvido, con i suoi discorsi da “sempliciotto”. Ecco, lui è l’uomo disarmante, quello che si mette a nudo, che tende la mano agli altri per dimostrare che arriva in pace, senza armi. E, proprio per questo, senza fare paura.

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