lunedì 17 ottobre 2011
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Nell’attuale vivace dibattito sulla presenza dei cattolici in politica si è fatto reiteratamente riferimento, come era inevitabile che avvenisse, all’esperienza della Democrazia cristiana, ora per tentare di rinnovarla, ora per decretare l’impossibilità di un ritorno al passato; ma a mio avviso si è un po’ dimenticata la lezione antecedente - e per certi aspetti oggi assai più attuale - di Luigi Sturzo. Già nel Discorso di Caltagirone del 1905 (fondativo di quello che sarebbe stato poi, sia pure per una brevissima stagione, il Partito popolare italiano) Sturzo dava due fondamentali, e a mio parere ancora oggi attualissime, indicazioni: la prima era che avrebbe dovuto trattarsi di un partito "di" cattolici, con carattere schiettamente laico, posto nella vita pubblica nazionale al pari di tutti gli altri e senza investiture (o protezioni) ecclesiastiche; la seconda era che, definendo la sua fisionomia sulla base di un preciso programma politico (e non in forza delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica) sarebbe stato inevitabile che questo partito di cattolici dovesse operare una scelta: «O sinceramente conservatori o sinceramente democratici: una condizione ibrida toglie consistenza di partito e confonde la personalità nostra con quella dei conservatori liberali» (ma anche con quella di altre forze politiche).L’alternativa posta da Sturzo appare ancora oggi attuale: o si è "partito della Chiesa" (e in tal caso si realizzerebbe, certo, una qualche unità, ma si smarrirebbe la legittima laicità della politica); o si è "partito nazionale". E dunque si è «conservatori» o «democratici» (si noti, nel brano precedentemente citato, l’aggettivo «sinceramente» riferito ai conservatori, che dunque Sturzo non demonizza ma che nello stesso tempo intende chiaramente distinguere dai «democratici»). L’ipotesi di un "partito della Chiesa" - ammesso che vi sia chi intenda seriamente sostenerla - urta contro il principio della laicità della politica e opera una scelta di campo che inevitabilmente rende i credenti una "parte", con rischi non sottovalutabili in ordine alla missione evangelizzatrice. È possibile che sia una ipotesi da prendere in considerazione in circostanze particolari - come talora è avvenuto - ma solo come extrema ratio (e non sembra che sia questo l’attuale caso italiano). Non resta dunque che l’altra ipotesi, che i «sinceramente conservatori» stiano da una parte (né ci si dovrebbe vergognare di questo) e i «sinceramente democratici» stiano da un’altra parte: gli uni e gli altri, inevitabilmente, insieme ad altri che sono «sinceramente conservatori» o «sinceramente democratici», ma non necessariamente, anche, cattolici.Vi è da scandalizzarsi per questa impossibile unità? Credo di no: a condizione, tuttavia, che i «sinceramente conservatori» e i «sinceramente democratici» facciano sino in fondo la loro parte là dove legittimamente decideranno di collocarsi. Agli uni e agli altri la Chiesa potrà guardare, sia pure tenendo le distanze, con simpatia, senza che nessuno possa pensare di annettersela. Né ciò significa un atteggiamento, da parte della Chiesa di spettatore muto e distaccato, perché al contrario essa potrà e dovrà continuare la sua missione super partes di riaffermazione e di richiamo ai grandi valori evangelici e ai cardini dell’umanesimo cristiano, vitali per la stessa vita pubblica. Non mancheranno, tanto ai «sinceri conservatori» quanto ai «sinceri democratici» i problemi di coscienza, le difficili scelte, forse i drammi: ma tutto questo è il pane quotidiano di una politica sempre consapevole di navigare nel mare agitato e talora tumultuoso delle «cose penultime».
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