lunedì 19 luglio 2021
Uno studio di tre università italiane scopre cosa ha permesso la formazione dello straordinario sito nel deserto di Ica, che conserva reperti di balene, delfini, squali e altri animali marini
Un resto fossile di una balena ritrovata a Pisco in Perù

Un resto fossile di una balena ritrovata a Pisco in Perù - Wikipedia Commons

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Uno dei più grandi giacimenti di fossili del mondo è nel deserto di Ica, nel Perù meridionale, là dove un tempo si trovava il bacino di Pisco, una distesa di acqua caratterizzata da una grande abbondanza di nutrienti e da una ricca biodiversità.

L’eccezionalità del sito – una miniera per i paleontologi - è data dalle migliaia di reperti che custodisce: balene, delfini, foche, squali e altri pesci, ma anche uccelli e rettili, vissuti in un intervallo di tempo compreso tra i 14 e i 6 milioni di anni fa, nel Miocene.

Un gruppo di ricercatori dell’Università Milano-Bicocca insieme con i colleghi dell’Università di Camerino e dell’Università di Pisa - e in collaborazione con studiosi di vari istituti di ricerca esteri - ha svelato quali sono state le condizioni che hanno favorito lo svilupparsi di questo straordinario sito paleontologico: bassa concentrazione di ossigeno sul fondale, rapido seppellimento delle carcasse, ancor più rapida precipitazione di minerale (come l’epatite e la dolomite) subito dopo il seppellimento delle ossa e, infine ma non ultima, la grande ricchezza biologica originaria.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Plos One e si basa sull’analisi di quasi 900 reperti, spesso eccezionalmente ben conservati. A riportare alla luce quel che resta degli abitanti dell’antica baia di Pisco, rimasti sepolti per milioni di anni, sono stati il sollevamento tettonico e l’erosione dell’ambiente desertico attuale: l’assenza di vegetazione nell’area facilita enormemente la scoperta dei resti fossili, spiegano i paleontologi autori dello studio, che sono riusciti a ricostruire la storia tafonomica dei resti degli animali, ovvero ciò che ne ha permesso la conservazione come fossili dal momento della morte fino ai giorni nostri.

Particolarmente interessante risulta il riconoscimento di alcuni scheletri di balena la cui disposizione e le cui relazioni con le rocce incassanti suggeriscono che la carcassa sia andata incontro a un meccanismo di “autoseppellimento”. Ciò accade quando oggetti relativamente pesanti si adagiano su un fondale solcato da correnti: queste erodono rapidamente il sedimento su cui poggia l’ostacolo (in questo caso la carcassa) causandone lo sprofondamento in una cavità che viene poi altrettanto presto riempita da nuovo sedimento. Velocemente fagocitata, la carcassa viene messa al riparo dall’azione degli organismi spazzini e da molti altri fattori di disturbo.

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