lunedì 6 novembre 2023
Le cifre sono fornite dal ministero di Hamas, il Pentagono si limita a parlare di «migliaia di civili» uccisi. Nell’operazione di terra hanno perso la vita 31 soldati israeliani
La disperazione di un giovane in mezzo alle macerie di un edificio a Khan Younis, 6 novembre

La disperazione di un giovane in mezzo alle macerie di un edificio a Khan Younis, 6 novembre - Ansa

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Cosa stia succedendo nell’inferno di Gaza pochi lo sanno. Al di là dei resoconti delle forze di difesa israeliane (con qualche giornalista embedded) e del bollettino dei morti fornito quotidianamente da Hamas, le testimonianze arrivano frammentate e parziali. Persino le agenzie umanitarie confessano difficoltà di comunicazione con il personale rimasto, quasi solo palestinese.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ammette su X di non essere «in grado di raggiungere la stragrande maggioranza dello staff» né di fornire servizi a Gaza City e nel governatorato di Gaza nord. Degli 1,5 milioni di sfollati interni (il 65% della popolazione), circa 717mila si trovano nei rifugi dell’Unrwa, 122mila in ospedali, chiese o edifici pubblici, 110mila in 89 scuole non Unrwa e il resto ospitato in abitazioni. Si diffondono malattie, anche per la carenza di acqua potabile: infezioni respiratorie acute, diarrea, varicella.

«Un’intera popolazione è assediata e sotto attacco, privata dell’accesso ai beni essenziali, bombardata in casa, nei rifugi, negli ospedali e nei luoghi di culto» denunciano 18 agenzie delle Nazioni Unite. «Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco umanitario immediato. Sono 30 giorni. Ora basta». Le firme sono quelle dell’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk, del capo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, del capo degli affari umanitari delle Nazioni Unite Martin Grittiths e di altri 15 responsabili. Un appello che stasera Griffiths ripete davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, tornato a riunirsi sul dossier Israele-Hamas per iniziativa della presidenza cinese e degli Emirati Arabi Uniti.

«La via da seguire è chiara: un cessate il fuoco umanitario. Ora» invoca il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. «L’incubo a Gaza è più di una crisi umanitaria. È una crisi dell’umanità». E avverte: Gaza sta diventando «un cimitero di bambini».

L’Unrwa calcola che ogni dieci minuti un minore venga ucciso e due feriti. Per il ministero di Hamas le vittime sono più di 10mila: dal 7 ottobre sarebbero state uccise «10.022 persone, tra cui 4.104 minori e 2.641 donne». I feriti sarebbero 25.408. Numeri non verificabili, anche se nei giorni scorsi il segretario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, li aveva ritenuti plausibili alla luce del dato delle vittime (salite a 88) tra gli operatori dell’Onu. Il Pentagono si limita a parlare di «migliaia di vittime civili».

Un raid avrebbe danneggiato i pannelli solari sul tetto del grande ospedale di al-Shifa provocando un morto e alcuni feriti. Israele però smentisce di avere colpito, benché lo ritenga il principale covo dei miliziani. «Invitiamo le Nazioni Unite a visitare gli ospedali per verificare le bugie israeliane» provoca Hamas (che beneficerebbe di un cessate il fuoco per riorganizzarsi): «Le menzogne dell’occupante mirano a giustificare i suoi attacchi alle strutture mediche, così da distruggerle e spingere i palestinesi ad andar via dalla nostra terra».

Filmati diffusi dall'esercito mostrano qualche migliaio di persone lungo il «corridoio di evacuazione» della Salah a-Din, l’arteria che collega nord e sud della Striscia, garantito sicuro tra le 10 e le 14.

Sul terreno militare, le forze israeliane hanno completato l'accerchiamento di Gaza City, separando così le postazioni di Hamas nel nord della Striscia da quelle nel sud. Dall’inizio delle operazioni di terra, il 27 ottobre, sono rimasti uccisi 31 soldati. Oggi l’esercito ha annunciato di aver preso il controllo di un avamposto a Gaza, colpito oltre 450 obiettivi in 24 ore ed eliminato comandanti di Hamas nascosti nei tunnel. Ucciso anche un altro sospettato di essere coinvolto nell’attacco del 7 ottobre: il comandante del battaglione Deir al-Balah, Wail Asfa, imprigionato in Israele dal 1992 al 1998.

L'esercito si sta preparando a combattere per mesi: sarebbero state distribuite alle truppe 129mila giacche invernali e 369mila borse termiche usa e getta.

Dal sud le buone notizie arrivano con il contagocce. Il valico egiziano di Rafah oggi è stato riaperto (era chiuso dal 3) per consentire l’uscita di stranieri e di palestinesi con doppia cittadinanza. In totale sarebbero partite più di 1.100 persone, tra cui «quasi tutti gli italiani, tranne chi voleva rimanere, tra cui un paio di operatori della Croce Rossa» informa il ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Dal Libano sono stati sparati una trentina di razzi sul nord dello Stato ebraico e una raffica verso la zona di Haifa. Ne hanno rivendicato la responsabilità le Brigate al-Qassam, braccio militare di Hamas. In Libano sono presenti 1.300 soldati italiani nell’ambito delle missioni di pace dell’Onu (Unifil). E le forze armate israeliane si dicono pronte «in qualsiasi momento» a un attacco dal nord da parte delle milizie di Hezbollah.

Sempre al nord, sono diversi gli insediamenti evacuati. Nell’ultimo mese circa 130mila israeliani (su 9,6 milioni) hanno dovuto lasciare le loro case e altri 120mila sono partiti volontariamente dalle zone di confine settentrionale e meridionale. Ora denunciano che le agenzie delle Nazioni Unite stanno aiutando gli sfollati di Gaza ma si sono dimenticate di loro.

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