giovedì 10 ottobre 2013
​Il capo della protezione civile: una babele di competenze frena previsione e prevenzione. Il Vajont «monumento alle cose che non vanno nel rapporto tra ambiente e territorio»
Prevenire si deve (e non è un lusso) Antonio Maria Mira
STORIA DI SOLIDARIETA' Il parroco di Vajont da 50 anni: «Qui un laboratorio di resurrezione» (dal Vajont Lucia Bellaspiga)
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Il Belpaese «sta letteralmente cadendo a pezzi». Bisogna dunque «intervenire subito in maniera strutturale, oppure andremo sempre a fare una sorta di elenco di disgrazie e morti». A parlare non è la solita cassandra, ma un addetto ai lavori del calibro di Franco Gabrielli. Nel giorno del cinquantesimo anniversario della strage del Vajont, il capo della protezione civile va dritto al cuore del problema. Perché l’Italia è un territorio ad alto rischio idrogeologico, ripete per l’ennesima volta, cogliendo l’occasione di una audizione alla Commissione Ambiente della Camera, sulla riforma della Protezione civile. E il disastro del 1963, che spazzò via il paese di Longarone, mezzo secolo dopo è ancora «una ferita aperta», «un monumento alle cose che in Italia ancora non vanno nel rapporto tra ambiente e territorio».

Secondo il prefetto Gabrielli, perciò, occorre allentare il patto di stabilità interno per permettere ai Comuni di intervenire a difesa dell’Ambiente contro il dissesto idrogeologico». Perché al capo della Protezione civile arrivano «costantemente dai territori grida di aiuto da parte dei comuni che non riescono a fare interventi: ci sono situazioni che sono in cofinanziamento, con fondi che non possiamo spendere perché i comuni non sono in grado di cofinanziarli per i limiti del patto di stabilità». Insomma: «Comprendo la condizione di salute delle casse dello Stato, ma questo grido di dolore non può essere sottovalutato. Serve un impegno in termini di priorità sul patto di stabilità». Il problema è anche che in Italia previsione e prevenzione - per quanto riguarda il dissesto idrogeologico - sono «a macchia di leopardo» e solo 11 regioni hanno Centri funzionali decentrati (Cdf) - i capisaldi del sistema di allertamento - pienamente funzionanti. Gabrielli ricorda che «a distanza di nove anni» dalla direttiva istitutiva della presidenza del Consiglio, solo «Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Campania e le province autonome hanno centri funzionali decentrati pienamente funzionanti». Le regioni «non ancora attive sono sei: Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna». Le altre quattro, Umbria, Lazio, Molise, Calabria, «hanno invece attiva solo la parte idro e hanno il supporto del dipartimento per la parte meteo». Secondo Gabrielli, dunque, la prevenzione dei disastri o almeno la loro mitigazione oggi è frenata in Italia da una «babele di competenze» su cui occorre mettere mano. Il capo della Protezione civile snocciola la "diaspora delle responsabilità": «Sul dissesto idrogeologico hanno competenza Autorità di bacino, Province, Comuni, Regioni». E aggiunge che se oggi si verificasse un evento paragonabile all’alluvione del 1966 a Firenze, «pagheremmo ancora molti guai». La storia (dei disastri) non ci ha insegnato nulla. Per Gabrielli quindi «c’è bisogno di un nuovo patto sociale su questi temi. I sindaci hanno della responsabilità, ma c’è anche una responsabilità dei cittadini. I temi dell’autoprotezione non appartengono alla nostra cultura». A sottoscrivere in pieno l’appello è Ermete Realacci, deputato pd e presidente della commissione Ambiente, territorio e lavori Pubblici : «È grave l’allarme lanciato dal prefetto Gabrielli sul fatto che solo metà delle nostre Regioni hanno Cfd funzionanti». È dunque necessario «rafforzare il sistema della Protezione civile» e lavorare alla «prevenzione» mettendo in atto «serie e coerenti politiche di messa in sicurezza del nostro fragile territorio». Così come è «necessario e imprescindibile» anche rivedere il Patto di Stabilità interno, per consentire agli Enti Locali che hanno risorse di investirle nel contrasto al dissesto idrogeologico. Lo chiede peraltro la stessa risoluzione sul dissesto approvata all’unanimità dalla Commissione, «che impegna il Governo a stanziare, già dalla Legge di Stabilità, 500 milioni annui per la difesa del suolo».

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