venerdì 21 luglio 2023
L’ultimo saluto alle vittime della tragedia del 7 luglio nella "Casa per Coniugi”. La riflessione dell'arcivescovo Mario Delpini, che ha presieduto la Messa
Cattedrale semideserta. I funerali nel Duomo di Milano dei sei anziani morti nel rogo della Rsa "Casa per coniugi"

Cattedrale semideserta. I funerali nel Duomo di Milano dei sei anziani morti nel rogo della Rsa "Casa per coniugi" - Fotogramma

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È in una Cattedrale semideserta che Milano ha dato l’ultimo saluto alle sei vittime dell’incendio scoppiato lo scorso 7 luglio nella Rsa “Casa per Coniugi”. Ci sono i rappresentanti delle istituzioni, a partire dal sindaco Giuseppe Sala – che aveva proclamato il lutto cittadino e ha voluto le esequie in Duomo –, dal prefetto Renato Saccone, dal questore Giuseppe Petronzi, dalla pm titolare dell’indagine Tiziana Siciliano, dal comandante provinciale dei Carabinieri, Iacopo Mannucci Benincasa.

Ci sono, una cinquantina in totale, familiari e amici delle anziane vittime. Ci sono i vertici di Proges, la cooperativa che gestisce la Rsa per conto del Comune di Milano, e alcune rappresentanze dei dipendenti. Ma di milanesi “comuni”, fra Duomo e piazza, a questa celebrazione presieduta dall’arcivescovo Mario Delpini e aperta a tutti, non se ne sono visti molti. E non basta la pioggia che ha preso a cadere con forza poco prima dell’inizio del rito, a spiegare la modesta partecipazione al rito.

«Questa è un po’ una dimostrazione di come spesso gli ospiti delle nostre Rsa siano soli», dirà dopo la Messa il sindaco Sala, dialogando con i cronisti. «Due di loro non avevano nemmeno un parente, altri ne hanno pochi» e può accadere che vengano «dimenticati». Ed è così. Se Laura Blasek, Anna Garzia, Loredana Labate e Nadia Rossi hanno familiari, Mikhail Duci e Paola Castoldi non hanno nessuno. Perciò le loro bare, in Duomo, sono state collocate vicino al sindaco.

«Sì, perché io rappresentavo i parenti mancanti – riprende Sala –. Non sono pochi gli ospiti delle nostre Rsa che ormai non hanno più parenti. Questo da un lato richiama al nostro dovere di farcene carico e dall’altro è un quadro di quello che la società è diventata. Una volta era molto difficile che un anziano venisse completamente abbandonato, Oggi invece lo è». Ecco, dunque, l’appello del primo cittadino: «se non c’era molta gente in Duomo io richiamo la cittadinanza a fare volontariato in queste strutture, dove la solitudine è ancora enorme».

In realtà: qualcuno è venuto anche per Mikhail Duci e Paola Castoldi. Fra i concelebranti – assieme a don Paolo Fontana, responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale della salute, e a don Roberto Villa, parroco di San Michele Arcangelo e Santa Rita, la parrocchia alla periferia sud est di Milano nel cui territorio ha sede la Rsa – c’è don Martino Antonini, che seguiva la signora Paola. E in presbiterio, ad assistere alla celebrazione, ci sono due sacerdoti della Chiesa copta ortodossa, alla quale apparteneva il signor Mikhail.

Nella navata ci sono persone come i volontari della Comunità di Sant’Egidio, che per tanti anziani ospiti della Rsa sono familiari e amici. E fra il personale e gli operatori della struttura c’è chi porta con sé le fotografie delle vittime, come a testimoniare che quei sei anziani morti nel rogo non sono semplici “utenti”.

E, per tutti, c’è l’abbraccio del Crocifisso, c’è la risposta «del Figlio di Dio, dell’Uomo dei dolori» alla domanda alla quale dà voce l’arcivescovo Delpini in omelia: «Signore, dove sei? Signore dov’eri? Signore, che cosa vuoi?». Domanda che si fa preghiera di fronte a questa tragedia. «Ecco dov’ero – risponde il Signore –: ero là a morire con loro, ero là per essere unito a loro nella somiglianza della loro morte. Ecco dov’ero: sono il Crocifisso. Ecco che cosa voglio, ecco qual è la volontà di Dio: Padre, io voglio che Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia siano con me, dove sono io, perché contemplino la mia gloria».

«Tu non sei solo», aveva detto l’arcivescovo rivolgendosi alle sei vittime all’inizio della sua riflessione. «Tu non sei una solitudine desolata destinata a svanire senza che alcuno ne senta la mancanza», né «sei solo il fascicolo di una pratica che a un certo punto finisce in archivio, una patologia da associare a un medicinale, un posto letto occupato». E «non è vero che l’unica parola che abbiamo da dire sulla tua città e sulla tua vita è che sia una storia di desolata solitudine».

Le sei vittime erano inserite in una «trama di rapporti» – con gli altri ospiti della Rsa, gli operatori, i volontari. E quando le fiamme e il fumo di quella notte, di quel «momento tragico e disperato», hanno come azzerato ogni cosa, proprio in quell’ora, insiste il presule, Gesù si è fatto incontro alle vittime chiamandole per nome per portarle nella sua gloria. «Questa celebrazione, nella sua austera solennità, non è una specie di patetico gesto di risarcimento per una disgrazia troppo incomprensibile – ha affermato Delpini –. Piuttosto è l’incontro drammatico tra la pietà commossa e l’impotenza insuperabile della città e la Parola che parla con una autorità troppo più alta e indiscutibile di ogni parola umana».

Al termine del rito i sei feretri vengono ricondotti in piazza per un’ultima benedizione; poi l’omaggio di due commossi applausi, prima di essere portati nei cimiteri di Chiaravalle, Greco e Lambrate. «Lunedì riferirò in Consiglio comunale nel limite di quello che si può dire perché ci sono indagini in corso», fa ancora in tempo a dire Sala, mentre una delegazione del sindacato Cub Sanità espone un cartello con la scritta «Anziani mai più soli» per chiedere «più sicurezza nelle Rsa». E mentre due nipoti di Laura Blasek, Carmela e Filomena, dicono ai cronisti di essere «tanto arrabbiate perché nessuno ci ha contattato quando è scoppiato l’incendio, siamo venute a conoscenza di quello che è successo dal telegiornale. Noi ora chiediamo solo giustizia e niente altro».


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