mercoledì 19 settembre 2018
7 anni e mezzo e interdizione perpetua per l’ex governatore della Regione Lombardia, accusato di corruzione
Roberto Formigoni (Fotogramma)

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Pena aggravata in appelIo per Roberto Formigoni. Oggi i giudici di Milano hanno condannato l’ex presidente di Regione Lombardia a 7 anni e 6 mesi per corruzione: un anno e mezzo più della pena inflitta in primo grado. La corte ha poi deciso l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per il politico, che dovrà ripagare le spese legali anche della Regione e versarle un risarcimento di 3 milioni, nonché subire il sequestro di conti esteri per un valore di 4,5 milioni di euro.

È in un certo senso clamoroso questo ulteriore esito del processo sul caso Maugeri, che riconosce totalmente l’impianto accusatorio e che ha visto aumentare la condanna anche per l’ex amministratore della Fondazione incriminata, Costantino Passerino: 7 anni e 7 mesi (7 anni in primo grado); pena confermata a 3 anni e 4 mesi invece per l’imprenditore Carlo Farina, accusato di riciclaggio.

Le motivazioni della sentenza d’appello saranno rese note tra 30 giorni. Ma è stata accolta in toto la richiesta dell’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal sostituto pg Vincenzo Calia, secondo la quale il presunto faccendiere Pierangelo Daccò e l’ex assessore lombardo Antonio Simone (entrambi hanno patteggiato) sarebbero stati «il bancomat» tramite il quale Formigoni avrebbe goduto di benefit di lusso per oltre 6 milioni di euro, tra cui l’uso di yacht e vacanze gratuite. In cambio l’allora governatore lombardo avrebbe favorito la clinica con atti di giunta e rimborsi non dovuti per circa 300 milioni.

La condanna di primo grado aveva stabilito che dalle casse della Maugeri sarebbero usciti, tra il 1997 e il 2011, 61 milioni di euro e dalle casse del San Raffaele (altro filone del processo), tra il 2005 e il 2006, altri 9 milioni; denaro finito su conti e società di Daccò e Simone. La requisitoria aveva sottolineato inoltre che Formigoni «si è sottratto costantemente a confronti e interrogatori nel corso delle indagini, non ha reso esame dibattimentale e non ha voluto il confronto con i giudici. Per questo non merita nessuna attenuazione della pena che, anzi, deve essere aumentata».

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