venerdì 28 gennaio 2011
Le nuove carte che metterebbero definitivamente nei guai Gianfranco Fini sono state mandate da Frattini alla magistratura. Il ministro degli Esteri risponde in Parlamento a un'interrogazione sull'asserito ruolo dei servizi nell’operazione. Le opposizoni escono dall'Auila e attaccano Schifani e il ministro: «Avete forzato le norme per regolare i conti».
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Le nuove carte che inguaierebbero definitivamente il presidente della Camera Gianfranco Fini sono state mandate dallo stesso Frattini  alla magistratura. Mentre il ministro degli Esteri è venuto in Parlamento a rispondere a una interrogazione che voleva fugare i dubbi su asseriti ruoli dei servizi nell’operazione. E si è limitato a dire che il capo del governo di Santa Lucia ha dichiarato «vere» le precedenti carte sull’affare della casa di Montecarlo. Ergo, è «vero» che la casa di Montecarlo appartiene a Tulliani, il cognato di Fini. Non dice altro, nell’aula del Senato, il ministro degli Esteri Frattini, che ha risposto in meno di 48 ore alla interrogazione urgente presentata dal collega di partito, il senatore Luigi Compagna. Ma dicono tutto gli altri dirigenti del centrodestra, che ricordano le parole di Fini («Se mio cognato ha mentito ed è il vero proprietario della casa, mi dimetterò») e spingono l’odiato ex alleato a lasciare la poltrona più alta di Montecitorio. «Ora non si potrà più arrampicare sugli specchi», sono le parole, dure e ultimative, attribuite al premier Silvio Berlusconi. E, giù per li rami, il ministro Gelmini, Cicchitto, Gasparri, Quagliariello, Napoli, Capezzone: tutti in coro a reclamare che il capo di Fli sia coerente con se stesso. Ovvero che dia finalmente le dimissioni. Ma, nella polemica, c’è un’altra polemica. Le opposizioni, e non solo Fli, hanno infatti contestato la dinamica della "denuncia" di Frattini in Senato. Accusando il ministro e anche lo stesso presidente del Senato di aver utilizzato in modo distorto la tribuna di Palazzo Madama per un regolamento di conti tutto politico. Schifani si è tirato fuori: «Non è competenza del presidente del Senato decidere a quale interrogazione rispondere. È il governo che autonomamente individua le interrogazioni alle quali rispondere, in fasce temporali d’aula già predeterminate dalla conferenza dei capigruppo». Ma, in segno di protesta anche contro di lui, Pd, Udc, Api e Idv sono usciti dall’aula del Senato durante l’audizione di Frattini. Francesco Rutelli ha spiegato: «Schifani non doveva consentire che un ramo del Parlamento intervenisse, sia pure obliquamente, sulle prerogative del presidente dell’altro». L’Idv Luigi Li Gotti ha fatto presente che sue interrogazioni parlamentari giacciono inevase da più di due anni, criticando la «solerzia» con cui si è data risposta a questa. E il democratico Luigi Zanda ha annunciato sarcastico: «Presenterò oggi stesso una interrogazione a Frattini sul caso Ruby e le reazioni dei governi stranieri sulla vicenda. E mi auguro che il presidente Schifani la calendarizzi con la stessa velocità con cui ha calendarizzato quella di Compagna». In serata, Frattini – difeso a spada tratta, insieme a Schifani, da tutto lo stato maggiore del Pdl e dai leghisti – ha replicato alle accuse: «Il mio scopo non era e non doveva essere dare indicazioni su illeciti, su irregolarità, ma semplicemente indicare con chiarezza al Parlamento, che me lo aveva chiesto, se un certo documento del ministero della giustizia di SantaLucia, nel quale si diceva che il signor Tulliani era proprietario di un appartamento, fosse stato o meno manipolato. Ho ricevuto una risposta che quel documento è autentico», in Senato, «mi sono limitato a dire questo senza entrare nei particolari, trasferendolo alla procura di Roma per valutare se ci sono in quella documentazione elementi di loro interesse».
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