La fecondazione assistita a 50 anni per le donne e a 65 per gli uomini? Non ha dubbi Luca Coletto, leghista, assessore alla sanità della Regione Veneto: «È un segno di civiltà». E come lui, probabilmente, la pensano gli altri suoi colleghi, sia del Carroccio che del Pdl, che hanno votato all’unanimità la delibera con cui la Giunta regionale del Veneto innalza da 43 anni a 50 anni, appunto, l’età limite per le donne di poter beneficiare della fecondazione assistita in regime di servizio pubblico (quindi, gratuita).Anzi, Coletto ne trae motivo di orgoglio, anticipando che porterà i contenuti dell’atto all’attenzione del Coordinamento degli assessori alla sanità delle Regioni italiane, da lui stesso retto, perché – così almeno si augura – si apra un ragionamento e un dibattito sulla questione, mentre anche a livello governativo se ne sta discutendo (infatti il primo plauso è arrivato da Francesca Martini, sottosegretario alla salute). Si badi bene però, quello dell’età è solo uno dei parametri previsti dalla delibera che pone anche un limite al numero dei tentativi: tre o quattro a seconda della tecnica d’inseminazione usata.Immediate le critiche, con la richiesta di consiglieri regionali del Pd e del gruppo Misto, di area cattolica, perché la giunta ritiri la delibera. Coletto, a quanto pare, non intende farlo. E, al contrario, invita i critici a considerare «lo spirito con il quale abbiamo deliberato: abbiamo infatti assegnato un rilievo particolare all’aspetto umano, psicologico e sociale ed alle aspirazioni profonde della coppia e della donna». Perché «procreare è un’aspirazione forte che caratterizza l’intero genere umano – aggiunge Coletto – e finché madre natura lo consente, cioè sino all’ingresso della menopausa nella donna, è giusto dare una possibilità anche a coloro che, per svariati motivi, non hanno potuto farlo in età giovanile».Ma c’è ancora di più: da Palazzo Balbi, sul Canal Grande, sede dell’esecutivo veneto, hanno precisato anche che quest’iniziativa intende essere «la risposta che diamo al preoccupante fenomeno dei viaggi della speranza che spingono molte donne a rivolgersi all’estero per pratiche sempre costose ed a volta anche di dubbia eticità».Peccato che le statistiche mediche parlino chiaro, in proposito, in Italia come all’estero: certificano, cioè, che sopra i 43 anni i tentativi in oltre il 90% dei casi non hanno successo. Dato ben ribadito, ieri, da una perplessa Eleonora Porcu, responsabile del Centro di sterilità dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna: «Se c’è un’uniformità di giudizio in campo medico sull’inutilità di un trattamento – ha commentato – è proprio quella sulla fecondazione in vitro per le ultraquarantenni. Per cui fino ai 43 anni c’è il 20% di possibilità di un parto, oltre una percentuale che oscilla tra il 2 e il 5». Figurarsi, dunque, a 50 anni. «Credo che questa decisione possa solo alimentare false illusioni, senza contare il dispendio di denaro pubblico per una pratica che non è nemmeno stata concertata con altre Regioni. Qui si rischia l’esplosione di un nuovo fenomeno: il turismo riproduttivo interregionale».Concetti ribaditi anche dalla Federazione italiana delle società scientifiche della riproduzione (Fissr): «Mentre tutte le Regioni stanno coordinandosi in uno sforzo comune, con la collaborazione dei loro referenti scientifici, nel fissare a una età massima di 43 anni per tutta l’Italia l’accesso alle tecniche di procreazione assistita, la Giunta del Veneto assume una decisione, anche contro il parere dei propri tecnici, che può essere spiegata solo da una assoluta ignoranza della materia o da un atteggiamento demagogico».