mercoledì 20 febbraio 2019
Una ricerca del Ministero della salute sulla fertilità evidenzia i tanti ostacoli alla genitorialità. Il 55% degli adulti non vuole avere figli per problemi economici o di coppia
Nel primo Studio nazionale fertilità promosso dal ministero della Salute, sotto accusa anche i medici: infondato ottimismo sulla procreazione assistita

Nel primo Studio nazionale fertilità promosso dal ministero della Salute, sotto accusa anche i medici: infondato ottimismo sulla procreazione assistita

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Nell’Italia del gelo demografico, dove si perde una città all’anno nella paralisi totale di interventi istituzionali, c’è una sola idea chiara sul far figli. E viene dai ragazzi. Otto su dieci, a 16 o 17 anni, ne vorrebbero avere. Di più, li vorrebbero prima dei 30 anni. Come dovrebbe essere, come potrebbe essere se il nostro Paese suggerisse una strada per trasformare il desiderio in realtà. Non accade, e così appena qualche anno dopo, appena si cresce, più della metà degli italiani cambia idea. Perché? Lo mette nero su bianco il primo Studio nazionale sulla fertilità, promosso dal ministero della Salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità, i cui risultati sono stati presentati ieri a Roma. Un quadro piuttosto sconfortante sullo stato delle conoscenze in tema di sessualità e “tempi biologici”, non soltanto tra i comuni cittadini ma anche tra gli specialisti che dovrebbero essere incaricati di diffondere le corrette informazioni in merito (medici di base, pediatri, ginecologi, ostetriche, andrologi). Segno che di denatalità l’Italia sta morendo anche per ragioni culturali ed educative.

Nessun aiuto. Il questionario voluto dal ministero è stato somministrato a 4 campioni diversi di popolazione: adolescenti, universitari, adulti e medici (divisi tra medici di base e professionisti della salute riproduttiva). Impressionante – si diceva – la differenza di percezione del tema “figli” tra il campione degli adolescenti e quello dei giovani e dei giovani adulti. Al 7% appena di ragazzi che non vorrebbero averne (e il 79% che invece li desidera e prima dei 30 anni) risponde un 55% di adulti deciso a non fare famiglia, o comunque molto incerto. Un italiano su due. Le motivazioni sono chiarissime: fattori economici, lavorativi e assenza di sostegno alle famiglie determinano la decisione nel 40% dei casi. Ma non è il solo dato a raccontare lo stato dell’arte del Paese in tema di fertilità. Gli italiani sono in generale impreparati e confusi sul tema, a cominciare dalle nozioni base: drammatico, per esempio, il fatto che 9 persone su 10 sappiano poco o nulla di fertilità maschile, ignorando per esempio che già la coppia in cui l’uomo ha superato i 35 anni ha più difficoltà ad avere figli (la lacuna accomuna studenti e adulti, in questo caso). E ancora: solo il 5% degli adulti si dice consapevole che le possibilità biologiche per una donna di avere figli iniziano a ridursi già dopo i 30 anni, mentre il 27% pensa che questo accada intorno ai 40 44 anni. Temi che non a caso avevano spinto la legislatura precedente ad affrontare il grande progetto di un Piano sulla fertilità che passasse anche attraverso campagne informative di massa, poi arenatesi tra leggerezze comunicative da parte del ministero e polemiche ideologiche esageratamente alimentate dai social (si pensi alla pubblicità sull’orologio biologico delle donne che tanto aveva infiammato il mondo femminista).

Sessualità sconosciuta. Ignoranza e confusione. Cosa aspettarsi, d’altronde, innanzi alla mancanza totale di educazione alla sessualità fin dalla scuola? Alla necessità sottolineata appena qualche settimana fa niente meno che da papa Francesco, alla Gmg di Panama, di offrire una formazione ai più giovani sul tema rispondono seccamente i numeri del ministero. Assenti la famiglia e la scuola, l’80% dei ragazzi cerca risposte alle proprie domande sulla sessualità online, non ricevendole da nessun altro in carne ed ossa. A salire in cattedra su una questione così delicata – sembra un assurdo – è proprio quella Rete tanto temuta e demonizzata dal mondo adulto. Così il 94% dei ragazzi (si tratta di un plebiscito) vorrebbe che qualcuno parlasse di sesso, di salute, di riproduzione a scuola. E a questo bisogno fa fronte un numero sempre più alto di adolescenti che sperimenta la sessualità troppo presto e male: uno su tre ha già avuto un rapporto completo, il 23% non utilizza contraccettivi perché non sa a cosa servono e tra il 70 e l’80% ignora l’esistenza e la funzione dei consultori, o l’importanza di rivolgersi a un medico o a un professionista. Un punto su cui è intervenuta con forza la ministra della Salute, Giulia Grillo: «È tempo di promuovere nelle scuole una corretta educazione ai temi di salute, facendo sì che diventino materia di insegnamento trasversale, attraverso un’alleanza tra scuola e Ssn e un approccio scolastico globale».

La ferita dei medici. I risultati della ricerca diventano più allarmanti quando si entra nel capitolo dedicato ai medici e ai professionisti. Quelli, cioè, che dovrebbero contribuire a fare chiarezza sul tema della fertilità e che invece troppo spesso fanno confusione. Diverse le aree di criticità emerse per esempio tra ginecologi, ostetriche, andrologi proprio sul tema della fertilità maschile, su come trattarla. In particolare – ed è la prima volta che le autorità sanitarie mettono così in evidenza il problema – tra i medici specialisti è generalizzato «un infondato ottimismo sulle possibilità delle tecniche di Procreazione medicalmente assistita (Pma) di risolvere sempre i casi di infertilità». La tecnica, per essere più chiari ancora, viene consigliata ancora ai pazienti «in cui è evidentemente inutile, generando aspettative che procureranno frustrazione alle coppie ». Un tema che dovrebbe far risalire subito in agenda, tra le priorità del ministero, la verifica sulla reale esigenza delle pratiche di fecondazione assistita sul territorio: un servizio che rientra nei Lea (nei Livelli essenziali di assistenza) anche per quanto riguarda l’eterologa, a fronte di percentuali di successo che non superano il 30%. E, come dimostrano questi dati, di una sostanziale “sovrastima” di casi da parte dei ginecologi. Ma anche tra i professionisti c’è anche un’emergenza formazione: tra i medici del territorio (i primi a cui si rivolgono i cittadini disorientati sul tema), solo l’8% dei pediatri di libera scelta ed il 20% dei medici di medicina generale ha partecipato ad eventi di aggiornamento formativo in materia di tutela della fertilità e di salute riproduttiva. Troppo pochi.

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