giovedì 20 agosto 2009
Monsignor D’Urso (Consulta anti-usura): «In coda soprattutto i poveri, ma serve solidarietà e una cultura di sobrietà». E domanda al governo: «Bloccare il superpremio o il gioco compulsivo aumenterà»
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Mentre l’Italia in preda a feb­bre da jackpot è in coda nel­le ricevitorie, la Consulta na­zionale antiusura lancia l’allarme. Siamo il paese europeo dove si gio­ca di più d’azzardo e, tra le vittime degli strozzini, una famiglia su quat­tro ha debiti di gioco. In Italia in pochi anni si è affermata la macchina dei giochi, capace di su­scitare la nostra passione latina con un’efficienza anglosassone. A scapi­to dei più deboli. Cavour chiamava il gioco la tassa dei poveri. Nel Bel­paese 30 milioni di persone giovano in modo occasionale. Ma a cadere nel vizio, sostiene la Consulta nazio­nale antiusura, che raggruppa 27 fon­dazioni, sono il 56% degli strati sociali medio bassi e il 66% dei disoccupa­ti. Un milione e mezzo di persone, diceva un recente studio del Cnr, gio­ca in modo compulsivo. I patologici sono infine 700 mila. A rischio di­pendenza sono tre milioni di perso­ne. Cifre triplicate in cinque anni. Dietro il sogno della ricchezza facile fa dunque capolino l’usura cui fa ri­corso il giocatore patologico e pro­blematico. I costi sociali sono alti, ba­sta pensare alle famiglie sfasciate. Ma l’Italia non limita le pubblicità mar­tellanti e illusorie. «Servirebbe una circolare ministe­riale – chiede monsignor Alberto D’Urso, segretario della Consulta na­zionale antiusura – per bloccare la vincita e impiegare i proventi di quanto si giocherà d’ora in poi a sco­po di solidarietà. Dalle case in A­bruzzo, ai disoccupati, alle case pi­gnorate presso i tribunali. Le esecu­zioni immobiliari sono aumentate di un quarto». C’è una questione morale alla base, secondo il prete antiusura. E precise responsabilità. «Se insistiamo solo sulla ricchezza facile, giochiamo una brutta carta pedagogica, fomentia­mo la cultura di chi è posseduto dal dio denaro. Tra le cause del sovrain­debitamento c’è il ricorso all’azzar­do. Dal 1998 continuiamo a segna­larlo invano ai governi. Ma la posi­zione sul gioco è bipartisan, c’è con­nivenza tra partiti e gestori, se è ve­ro che si vuole allargare il mercato ad altre case appartenenti trasversal­mente a esponenti dei vari schiera­menti ». Veniamo alle cifre di un mercato che non conosce crisi, anzi. «Quest’anno supereremo i 55 mi­liardi di spesa per il gioco pubblico in Italia – spiega il sociologo Mauri­zio Fiasco – per capirci sono il 5,5% del Pil. La sola spesa per le 300 mila slot macchine installate, un quarto delle quali è sotto il controllo della criminalità organizzata nei locali, do­vrebbe raggiungere 28 miliardi di eu­ro, l’equivalente del bilancio della pubblica istruzione. Una situazione abnorme. La Francia da tre anni ha soppresso le installazioni delle slot. Avevano visto i danni sociali ed eco­nomici contro il basso ritorno fisca­le ». Da noi la Cassazione deve pronun­ciarsi sulla vicenda del pagamento delle penali di 90 miliardi di euro (tre manovre Finanziarie) comminate per evasione ai dieci gestori nazio­nali del gioco che dal 2004 non han­no attaccato i modem del Ministero delle Finanze alle slot per consenti­re il prelievo fiscale sugli incassi. Spendiamo a conti fatti circa 2000 euro a testa. Ma lo Stato quanto in­cassa? «È un luogo comune che l’erario gua­dagni molto – afferma Fiasco – in ge­nerale circa un sesto. Sul Superena­lotto prende molto di più anche se è il gestore a guadagnarci davvero. In­somma, risultato modesto se para­gonato a quanto lo Stato a­vrebbe incassato in Iva e tas­se se la stessa somma fosse stata destinata ai consumi ordinari, che per giunta so­no un volano per l’occupa­zione». Tanto che il mercato dei sogni produce 65 mila occupati. «Il consumo – prosegue lo studioso – è sostenuto da una spesa pubblici­taria di circa 20 milioni di euro. E da un marketing aggressivo che ha crea­to prodotti su misura, cambiando modi, tempi e luoghi di gioco, arri­vando in casa, coinvolgendo donne e minori. Fino agli anni ’90 la scom­messa sportiva si limitava a calcio e ippica e avveniva a ritmi lenti nei bar o in fumose sale. Oggi si scommette in sale pulite tranquille su tutti gli e­venti in corso. O dalla tivù digitale in­terattiva, dal telefono, dal bar sotto casa o dal computer. Il decreto A­bruzzo consente di giocare a poker texano on line con il pagamento im­mediato. Questo scatena compul­sione». Così il gioco veloce diventa un vola­no formidabile per l’usura. Ci si in­debita dal tabaccaio, poi questo ti passa allo strozzino di quartiere e quando la cifra è elevata arrivano le organizzazioni criminali. E la corsa al 5+1? «Può alimentare il gioco compulsivo – conclude Fiasco – per due motivi. L’illusione di controllabilità del ri­sultato, che porta a ritenere la fortu­na a portata di mano. E la vincita i­perbolica in palio». «Manca l’educazione alla sobrietà – richiama monsignor D’Urso – come ha più volte raccomandato la Chie­sa, ovvero equilibrio nelle scelte di vita. Nella febbre indotta da Supere­nalotto trovo cinismo verso i biso­gnosi, che più frequentemente ri­corrono alla fortuna spendendo gli ultimi spiccioli. Tre giocate alla set­timana sono 12 mensili. Non c’è in­vece attenzione ai due milioni di fa­miglie a rischio povertà e alle 900 mi­la sotto la soglia. Lo Stato fa vedere la montagna di soldi di Zio Paperone a tanti poveri Paperini che perdono il controllo».
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