venerdì 10 gennaio 2014
​Luci e ombre della legge sulla filiazione (e altri nodi).
Francesco D'Agostino
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Se, come giurista, dovessi indicare la riforma normativa più incisiva del 2013 non avrei esitazioni e farei subito riferimento al nuovo diritto della filiazione. La legge ha cancellato ogni differenza di “status” tra i figli, rigettando le tradizionali distinzioni tra figli legittimi e figli naturali: quello di “figlio” è divenuto in tal modo – come è stato efficacemente osservato – un “sostantivo assoluto”, che non tollera alcuna specificazione. È facile prevedere che anche il linguaggio comune si adeguerà ben presto a quello legale (se già non lo ha fatto, anticipandone i tempi). Di conseguenza si spera che cadranno definitivamente, come meritano di cadere, espressioni insultanti e ignobili (come ad esempio, l’appellativo di “bastardo”), che occupano ancora un qualche posto nelle più volgari forme di aggressione verbale. Dobbiamo essere soddisfatti? Certamente sì. Come non rilevare l’immenso progresso che grazie alla nuova normativa si realizza nel nostro Paese? Solo di rado una nascita “irregolare” non era in passato causa di sofferenze per i figli; nella maggior parte dei casi una nascita “fuori dalla legge” era percepita come un’anomalia dolorosa e per di più quasi sempre incancellabile. La legge aveva il dovere di rimuovere questo stigma e finalmente l’ha fatto. Come non essere soddisfatti? E ppure, il nuovo contesto legale che si è venuto a creare non è senza ombre. La riforma può apparire circoscritta, in quanto ha per oggetto solo lo statuto legale dei figli, ma di fatto ristruttura la dimensione legale della famiglia in generale. Non hanno torto coloro che osservano che, dopo la nuova legge, la genitorialità viene drasticamente ridefinita dal legislatore: più che coloro che li procreano, la legge considera “genitori” colore che riconoscono, accolgono, educano i “figli”, indipendentemente dal fatto che ne siano o no “genitori biologici”.

È l’amore che crea la genitorialità – così sembra che pensi la legge –, non la “natura”. Acquistano così una nuova evidenza e una nuova legittimazione tante nuove forme di relazione familiare, già ampiamente sperimentate in America. Esempio lampante quello dell’omoparentalità: se è l’amore e l’amore soltanto a produrre vincoli genitoriali, perché una coppia omosessuale non potrebbe adottare un bambino e riconoscerlo come figlio a tutti gli effetti (e quindi senza nemmeno la qualifica “adottiva”)? O ancora: cosa obiettare ai casi in cui con un vero e proprio contratto il padre “naturale” di un bambino rinuncia al figlio da lui procreato, ma verso il quale sente di non nutrire alcuna affettività, acconsentendo che il ruolo paterno nei confronti del bambino venga assunto da un altro, ad esempio da un ben disposto marito della sua ex compagna? G li esempi potrebbero moltiplicarsi e ci portano a riflettere su situazioni obiettivamente conturbanti, che però il legislatore, inspiegabilmente, preferisce ignorare, limitandosi a “decostruire” istituti giuridici familiari da lui ritenuti ormai obsoleti o, più semplicemente, ingiusti. È in questo modo che si è decostruita l’indissolubilità matrimoniale, il rilievo penale dell’adulterio, la patria potestà. Attraverso la legge sull’aborto prima e sulla procreazione assistita poi si è decostruito il vincolo tra coniugalità e procreazione. E sta sotto gli occhi di tutti come di fatto, attraverso molti indebiti interventi della magistratura e della pubblica amministrazione, anche se non ancora per via legislativa, sia ormai decostruito il primato del matrimonio sulle convivenze di fatto (che ritengo giusto tutelare, ma a condizione che la diversità strutturale di una scelta di convivenza rispetto a una scelta matrimoniale venga esplicitamente riconosciuta dalla legge, nel rispetto, peraltro, del dettato della Costituzione). Da ultimo si osservi come stiano progressivamente aumentando le pretese di riconoscere alle coppie gay la possibilità di sposarsi e di adottare. Nella lunga intervista rilasciata ieri al “Corriere della Sera” il viceministro Maria Cecilia Guerra sembra che non si sia accorta che il dibattito «trasversale, sereno» su questi temi, che essa auspica, è attivo da un pezzo (basta seguire con un minimo di attenzione ciò che da molto e molto tempo pubblica “Avvenire”) e, cosa ancora più grave, sembra che non percepisca che la vera posta in gioco di questo dibattito non sono i diritti delle persone gay, come si continua pigramente a pensare e a ripetere, e che nessuno vuole negare, ma la stessa identità dell’istituto matrimoniale, che, ove aperto agli omosessuali, risulterebbe definitivamente alterato nella sua struttura eterosessuale e generativa, con gravissime ripercussioni sull’ordine sociale. Ribadiamo, a scanso di ogni equivoco, che il legislatore merita di essere elogiato per la sua “decostruzione” della filiazione illegittima (come, a suo tempo per il sacrosanto riconoscimento dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi). Ma all’elogio non può non accompagnarsi una critica ben precisa, per la sua inerzia progettuale. Infatti, dopo ogni “decostruzione”, bisogna impegnarsi a “ricostruire”, se non si vuole che le macerie, prodotte dalla decostruzione, restino sul territorio, ingombrandolo e rendendolo impraticabile. L’ambito della famiglia legalmente “decostruita” appare ormai fragile e caratterizzato da una pericolosissima “liquidità” (per riprendere la nota espressione di Bauman). Questo non solo è deprecabile moralmente, ma è socialmente allarmante, se è vero (come sembrano aver capito perfino i cinesi, abrogando la legge sul figlio unico) che solo dinamiche familiari “forti”, ricostruite legalmente con sollecitudine e intelligenza, possono garantire equilibri sociali non precari. I l compito urgentissimo che spetta al legislatore è quello di contribuire a una ricostruzione della famiglia, eterosessuale e generativa, che torni a porla al centro delle dinamiche sociali.  È un compito arduo, in quanto sembra che non venga colto nella sua importanza da larghi settori della pubblica opinione (o che venga, ahimè, percepito soprattutto da alcuni gruppi minoritari, spesso con toni esasperati, che poco aiutano a inquadrare correttamente la questione), un impegno al quale nel nuovo anno appena iniziato i giuristi dovranno applicarsi molto duramente, certo non per continuare a decostruire. E comunque si tratta di un compito ben più urgente e socialmente necessario del riconoscimento del matrimonio gay; è su questo compito, che vorremmo vedere impegnata con progetti chiari e fattivi anche il viceministro Guerra.

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