martedì 20 dicembre 2022
All'udienza a Roma la Giudice per le indagini preliminari si è riservata di decidere se archiviare o chiedere l'imputazione coatta dei dirigenti dell'Uama e dell'ad dell'industria bellica sarda
Un frammento di una bomba con i codici della produzione in Italia della RWM Italia. Per l'ong Mwatana è tra quelli usati in Yemen nel raid che ha ucciso 6 persone

Un frammento di una bomba con i codici della produzione in Italia della RWM Italia. Per l'ong Mwatana è tra quelli usati in Yemen nel raid che ha ucciso 6 persone - Ansa

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Il caso delle bombe italiane in Yemen è vicino a una svolta. Dopo cento minuti di udienza, il gip di Roma Maria Gaspari ieri si è riservata di decidere, con ogni probabilità dopo le feste, se archiviare o chiedere l’imputazione coatta dei tre dirigenti dell’Autorità nazionale italiana per l’esportazione di armamenti (Uama), che autorizzò l’export di bombe alla coalizione saudita in guerra contro lo Yemen, e dell’amministratore delegato di Rwm Italia, indagati per abuso d’ufficio. La terza possibilità, la disposizione di ulteriori indagini, inevitabilmente porterebbe alla prescrizione.

Che l’udienza fosse delicata l’ha dimostrato non solo il tempo impiegato, ma soprattutto la presenza in aula a piazzale Clodio di tutte le parti: i difensori dei quattro indagati (cioè i dirigenti di Uama e Rwm), il pm Sergio Colaiocco, le ong denuncianti (l’European center for costituzional and human rights-Ecchr di Berlino, la yemenita Mwatana for human rights, la Rete italiana pace e disarmo-Ripd). La denuncia fu depositata nel 2018 dopo la strage, l’8 ottobre 2016, della famiglia Husni, sei persone nel villaggio di Deir Al-Hajari in Yemen. Resti delle bombe lanciate dall’aereo hanno dimostrato con certezza che si trattava di ordigni prodotti e venduti da Rwm Italia, filiale sarda del produttore tedesco di armi Rheinnmetall. L’esportazione di materiale bellico verso paesi in guerra è vietato dalla legge italiana 185 del ‘90, dalla Posizione comune europea del 2008, dal Trattato internazionale sul commercio di armi (ATT) del 2014. Il pm aveva chiesto già a fine 2021 - e di nuovo ieri - l’archiviazione perché non sussisterebbe il dolo, in quanto Uama avrebbe voluto preservare l’interesse pubblico dei posti di lavoro. Tesi respinta con decisione nella prima udienza dalla gip, che allora aveva chiesto all’accusa un supplemento di indagini.

Uno dei legali dei denuncianti, l’avvocato Alessandro Gamberini, ha chiesto alla gip l’imputazione coatta per gli indagati, cioè i dirigenti Uama Michele Esposito e Francesco Azzarello (oggi ambasciatore in Brasile), e Fabio Sgarzi, ad di Rwm. Da archiviare invece, secondo i denuncianti, la posizione di Alberto Cutillo, dirigente Uama arrivato nel 2020 e quindi estraneo ai fatti.

Dalle nuove indagini sarebbero emerse «elementi soggettivi», spiegano i legali. In particolare un appunto interno riporterebbe segnalazioni di Rwm al dirigente di Uama Azzarello, preoccupato di dover rispondere delle perdite milionarie ventilate da Rwm in caso di stop all’export, oltre che per un danno di reputazione.

«Si è voluto far acquisire profitti a Rwm, che infatti ha aumentato di molto il suo fatturato - afferma l’avvocato dei denuncianti Francesca Cancellaro - anche a costo di violare radicalmente le discipline nazionale, europea e internazionale. Uama dal 2013 è un’Autorità, non un ufficio, pur se incardinato nel ministero degli Esteri. E dunque i suoi dirigenti non sono “passacarte”, ma hanno autonomia e competenza tecnica per decidere su una materia delicatissima. Comunque un’autorizzazione non è un obbligo a esportare: anche il produttore ha responsabilità».

Al centro delle indagini ci sono ben 15 autorizzazioni all’export rilasciate da Uama a Rwm tra marzo 2015 e dicembre 2018, quando era sempre più chiaro che il conflitto portato avanti anche con ordigni italiani coinvolgeva pesantemente i civili. Per Francesco Vignarca di Ripd «non parliamo di illeciti in punta di diritto, ma di violazioni di legge che si traducono in bombe che massacrano civili. Le norme ignorate esistono proprio per evitare violazioni dei diritti umani e crimini di guerra». L’azione giudiziaria italiana si colloca in un contesto ben più ampio, aggiunge Cannelle Lavite di Ecchr, che sta portando avanti denunce analoghe sull’export di armi in Francia per la guerra in Yemen: «A Roma si sta decidendo di una violazione italiana - afferma Ecchr - ma è parte di una strategia che la società civile sta conducendo inEuropa». L’archiviazione del caso dopo quattro anni di indagini, dicono le ong, «sarebbe un duro colpo per tutti i sopravvissuti ad attacchi aerei senza un obiettivo militare».

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