sabato 2 marzo 2019
Percorso ad ostacoli nel confronto tra le associazioni, la politica e l'industria degli armamenti. L'appello del presidente della Cei Gualtiero Bassetti: serve una nuova cultura
Export armi, la società civile chiede più controlli
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Fermare subito le esportazioni di bombe in Arabia Saudita? O trincerarsi dietro al formale rispetto della legge 185? Movimenti e associazioni premono: 85 mila bambini morti in Yemen sono uno scandalo intollerabile. Ma industria e governo chiedono tempo. Perché l’export è in regola, puntualizza Guido Crosetto a nome delle industrie, e la real politik imporrebbe una solida industria di armamenti ai Paesi che vogliono contare. E perché è l’economia la vera radice delle guerre, dice il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, quindi «la transizione non può essere inferiore a 40 anni».

Al convegno su «Produzione e commercio di armamenti: le nostre responsabilità» - promosso da Fcei, Glam, Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, Ufficio per i problemi sociali e del lavoro, Fondazione Finanza Etica, Focolari, Pax Christi, Rete Disarmo - associazioni e credenti provano il dialogo con la politica e l’industria per «un’economia di pace». Ma le lunghezze d’onda sono diverse.

Invia il suo saluto, con un messaggio, il presidente della Cei Gualtiero Bassetti che plaude al «clima di dialogo ecumenico e tra tutti gli uomini di buona volontà» per «creare una cultura della pace davvero alternativa a quella che affida alle armi il tema della sicurezza sociale». Don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali, sottolinea come «la folle corsa agli armamenti », stigmatizzata già nel 1968 da Paolo VI, sia «una struttura di peccato». Per l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Chisti, «la razionalità della pace deve vincere sull’irrazionalità della guerra». Si affida a un messaggio la ministra della Difesa Elisabetta Trenta per lanciare il tema della riforma della 185, che però raccoglie critiche tra le associazioni e l’opposizione, preoccupati da un possibile peggioramento. Il sottosegretario agli Esteri M5s Manlio Di Stefano minimizza l’export attuale verso i sauditi: «Erano 427 milioni nel 2016, 52 nel 2017, ma solo 13 nel 2018. E poi - dice - anche se l’Italia azzerasse le esportazioni, arriverebbero Francia e Gran Bretagna».

Guido Crosetto, coordinatore di FdI, presiede l’Aiad, la federazione delle aziende italiane per l’aerospazio e la difesa. «La forza militare è un mezzo di accreditamento internazionale dice - e non c’è azienda italiana che non si muova entro la 185. Ma senza investimenti chiuderemo presto, per la concorrenza franco-tedesca». C’è chi critica i suoi viaggi da sottosegretario negli Emirati Arabi per promuovere armi, come poi anche altri ministri: «Non mi sono sentito un piazzista, bisogna parlare con tutti. E negli Emirati c’è stato anche il Papa: se non si è fatto problemi lui...». Brusii in platea.

Per la ministra della Difesa si impone una profonda revisione della 185. Trenta cita la proposta del capogruppo M5s in commissione Esteri al Senato, Gianluca Ferrara, «che condivido pienamente (vedi articolo a fianco, ndr) ». Ipotesi che solleva critiche. «Se dipendesse dal Pd - dice il dem Stefano Ceccanti -ma anche da Leu e M5s, un tagliando alla 185 si potrebbe fare. Ma se, come credo, il M5s è legato alla disciplina di maggioranza, non c’è nessuna possibilità». Stefano Fassina di Leu avverte: «Stiamo attenti a non farci del male, i rapporti di forza oggi non sono favorevoli. La 185 prevede una relazione al Parlamento, non serve riformarla per tornare ad avere un’analisi menoreticente». L’associazionismo chiama il governo alle sue responsabilità: «Vendiamo bombe a un Paese in guerra - dice Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia - nonostante la 185 e il Trattato internazionale sul commercio delle armi del 2014. Questo dibattito è surreale». «Il dibattito sulla 185 rischia di essere imponente dice Egizia Petroccione - quindi a nome di Save the Children chiedo comunque di fermare l’esportazione delle armi usate contro lo Yemen».

Ferrara (M5s): la legge 185 va rafforzata, ecco come

Stringere le maglie sull’export di armi. Il 'caso Yemen' probabilmente è solo l’ultima delle 'violazioni' sostanziali alla legge 185/90.

Gianluca Ferrara, senatore del M5s, ha depositato la proposta di legge 1049 per rafforzare i controlli, dare più poteri al Parlamento, finanziarie la riconversione delle fabbriche di armi. «La 185 ha quasi 30 anni spiega - ed è stata sistematicamente aggirata. Il mio ddl vuole rafforzarla perché, anche in mancanza di convergenza politica, come nella fattispecie, non si possano vendere armi a paesi in conflitto». Per Ferrara «si parla in maniera parossistica di immigrazione, ma se continuiamo a esportare armi ne alimentiamo le cause: normale che arrivino poveri disgraziati sulle nostre coste». Non basterebbe che il governo applicasse la 185? «Le vendite si sono molto ridotte. Ma è vero, la Lega non ha la sensibilità del M5s. Però nel contratto di governo c’è l’obiettivo di non vendere armi a chi è in guerra». Una 'diversa sensibilità' che preannuncia un iter non facile per la proposta. «Prevenire l’immigrazione irregolare motiverà la Lega a riformare la 185».





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