sabato 18 giugno 2011
Dal Trentino alla Sicilia sono 800mila i lavoratori sfruttati Restano ore sotto il sole in campagna senza né diritti né aiuti. Le categorie edili e dell’agroindustria Cgil, Fillea e Flai lanciano una campagna di raccolta firme per proporre una legge che equipari questo reato a quello di traffico degli esseri umani.
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Curvi sotto il sole della Capitanata a raccogliere pomodori. Ma anche arance nella Piana di Gioia Tauro, meloni nelle campane mantovane, mele nelle valli del Trentino. In equilibrio precario sulle impalcature dei cantieri edili, troppo spesso senza casco né cintura per lavorare in altura. In ogni caso senza diritti e senza voce, affittati ai datori di lavoro dai "caporali", individui che lucrano su una forma di intermediazione lavorativa illegale che sarebbe più esatto definire riduzione in schiavitù. In queste settimane, come ogni estate, il problema torna di prepotente attualità. L’avvio della raccolta degli ortaggi e della frutta, soprattutto nelle regioni del Sud, ripropone un’emergenza drammatica, in cui l’imprenditoria delle campagne si mescola spesso con la criminalità che sfrutta la sete di lavoro di tanti lavoratori immigrati. Il tema era già stato sollevato qualche mese fa da Cgil, Fillea e Flai, che avevano lanciato per il 2011 la campagna di sensibilizzazione e di raccolta firme "Stopcaporalato" con l’obiettivo di proporre al Parlamento italiano una legge che equipari questa odiosa consuetudine al reato di traffico di esseri umani. Sul tema, sanzioni penali sono previste già dalla legge Biagi del 2003 che, in caso di intermediazione illecita configura la pena dell’arresto fino a sei mesi e addirittura, quando c’è sfruttamento dei minori, fino a 18 mesi.Secondo i dati della Cgil sono 800 mila le persone in situazione di grave sfruttamento nei campi e nei cantieri: lavoro nero, lavoro grigio (cioè contrassegnato da irregolarità parziali) e sotto il ricatto dei caporali. Un fenomeno che riguarda i lavoratori italiani oltre che i migranti, ma per questi la situazione è ancora più drammatica perché, troppo spesso, il lavoratore straniero senza permesso di soggiorno, a causa del suo status di irregolare, non può agire per rivendicare i suoi diritti. Per cui, chi ha denunciato i propri caporali, rischia di avere in cambio il decreto di espulsione.La questione esplose drammaticamente a Rosarno nel gennaio del 2010 con la rivolta dei braccianti immigrati, parte di quell’esercito di 60 mila che - si stima - vivono in condizioni di assoluto degrado, in alloggi di fortuna e sprovvisti di qualunque requisito di vivibilità ed agibilità. Le denunce hanno fatto emergere uno spaccato inquietante sul reclutamento e l’utilizzo della manodopera in agricoltura. Per una giornata di lavoro dalle 10 alle 14 ore i braccianti stranieri impiegati a Rosarno nella raccolta degli agrumi ricevevano 22 euro. I datori di lavoro versavano loro 1 euro a cassetta per la raccolta dei mandarini e 50 centesimi per le arance, e ai caporali 10 euro per ogni lavoratore a cui si aggiungevano i 3 euro pagati da ogni immigrato per essere accompagnato sui luoghi di lavoro. Gli immigrati che provavano a ribellarsi a queste condizioni venivano minacciati di morte e spesso fatti oggetto di aggressioni fisiche. Le indagini di polizia, carabinieri e guardia di finanza successive ai fatti di Rosarno hanno portato, nell’aprile del 2010, all’arresto di trenta persone accusate di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina straniera e truffa.Una goccia nel mare, se - come viene stimato - sono almeno 400 mila i lavoratori che vivono sotto caporale in agricoltura e 150 mila quelli gestiti dai caporali in edilizia. E se l’intermediazione illegale di manodopera e lavoro nero, secondo la mappa della Cgil, è ad "alta intensità" in Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Campania, si registrano nuovi fronti in Abruzzo dove nel bacino del Fucino vengono occupati nella raccolta dei prodotti ortofrutticoli soprattutto lavoratori del Maghreb e neo-comunitari provenienti da Polonia e Romania. Anche in Trentino il fenomeno legato alla raccolta delle mele è segnalato "in espansione" e così in Emilia Romagna, soprattutto nel Cesenate e nel Modenese, dove i caporali operano nel settore della macellazione assumendo lavoratori extracomunitari in nero e attraverso l’intermediazione di finte cooperative di facchinaggio.Grave è il rischio di sottovalutazione del fenomeno; come ha denunciato il Procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso in un convegno di qualche mese fa: «Identiche condotte illecite se commesse a Rosarno sono tratta di esseri umani, se commesse in Emilia Romagna costituiscono omesso versamento retributivo».
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