mercoledì 5 giugno 2013
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Gli specialisti la chiamano «radioattività indotta», cioè quella presente in natura e che, in particolari circostanze, può superare i valori soglia. I giacimenti di sali potassici, come molte miniere siciliane, rientrano in questa categoria. Anche per tale ragione il lavoro degli investigatori è molto difficile. Non si può infatti escludere che i dati rilevati fino ad ora siano frutto degli anni di lavorazione. «Le stesse società presumibilmente sono responsabili per la pregressa attività mineraria», si legge nel documento di Programma-Accordo redatto nel 1988 dalla Regione Sicilia. E non si può neanche rimuovere il sospetto che la «radioattività indotta» sia stata una buona copertura per quanti volessero liberarsi di scorie pericolose sapendo che, in caso di allarme radioattiovità, si sarebbe data la colpa alla precedente lavorazione dei minerali estratti.Quando l’Italia era ancora un paese ad energia nucleare, quello dello smaltimento delle scorie provenienti delle centrali atomiche era un problema piuttosto sentito. Perciò l’Enea fu incaricata di svolgere, fino al 1991, una serie di ricerche sul territorio nazionale al fine di individuare uno  o più depositi. Le miniere in disuso, o che da lì a poco sarebbero state chiuse, certamente si prestavano ad essere riconvertite in magazzino nucleare, ma ne andava testata la loro "resistenza". «È noto che i rifiuti radioattivi ad alta attività generano, durante il loro decadimento, notevoli quantità di calore che – si legge in un rapporto di Enea sulle ricerche condotte in quegli anni – possono influenzare le proprietà fisico-chimiche delle argille e, di conseguenza le loro capacità d’isolamento nell’immediato dintorno dei rifiuti». Per esser certi di non sbagliare gli scienziati hanno testarono il comportamento delle argille in gallerie sotterranee. Ed è riassumendo i risultati di questo esperimento che dall’Ente per la verifica energetica viene confermato che a Pasquasia vennero effettuati esperimenti con materiale radioattivo. «Sono state prese in considerazione diverse gallerie che le hanno attraversate a profondità maggiori di 150 metri dal piano campagna. La Sicilia, a quanto risulta, è stata la regione con il maggior numero di approfondimenti «sui quali sono state sviluppate una prima serie di indagini conoscitive», spiega ancora l’Enea.I potenziali depositi argillosi esaminati in Italia sono stati: «la Galleria di Castiglione in Teverina (direttissima Roma-Firenze); Galleria Carrito (autostrada Roma-L’Aquila); Galleria di scarico del Lago Disueri; Galleria Sperimentale Enea di Pasquasia. Tutte le ricerche condotte hanno evidenziato che non si sono osservate venute di acqua lungo le linee di discontinuità, tutte rigidamente chiuse e non ossidate».
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