giovedì 14 ottobre 2021
Sono vittime di oppressione e violenza, ma sono riuscite a trasformare i loro drammi in un riscatto, personale e sociale, attraverso il perdono e il volontariato
Amani El Nasif (a sinistra) e Alidad Shiri

Amani El Nasif (a sinistra) e Alidad Shiri - Ufficio Stampa

COMMENTA E CONDIVIDI

Raccontano storie che si fatica a credere. Sono vittime di oppressione e violenza, riusciti a trasformare i loro drammi in un riscatto, personale e sociale, attraverso il perdono e il volontariato. Amani, siriana scampata a un matrimonio forzato, ha vinto il rancore e ha perdonato i suoi genitori. Alidad, fuggito dall’Afghanistan dopo la strage della famiglia, gira per le scuole per spiegare che essere profugo non è una scelta. Sono i testimoni di pace premiati con le “Colombe d’oro internazionali per la pace” da Archivio Disarmo. “Colombe d’oro nazionali” sono state assegnate inoltre alle giornaliste Giulia Bosetti (che per Presadiretta ha curato un’inchiesta sulle esportazioni italiane di armi), a Francesca Mannocchi (freelance e documentarista autrice di reportage da Libia, Siria e Afghanistan) e all'Irpi (Investigative reporting project Italy).

Amani El Nasif, 31 anni, siriana di Aleppo, arriva da piccola con la famiglia a Bassano Del Grappa. «A 16 anni, nel 2006, mia madre mi riporta in patria, con la scusa del rinnovo del passaporto. Papà non viene perché si è separato da mamma. Dovrei stare 5 giorni, ma diventeranno 399, tredici mesi. Mia madre mi rivela che devo sposare un mio cugino di primo grado, di 26 anni: Qui funziona così. mi dice, finché non accetti, non esci". E mi chiudono in casa. Ma in Italia avevo capito che la mia vita conta, che io ho dei diritti. Resisto a pressioni e minacce. Arriva mio padre, ma vuole solo avere la sua parte nella trattativa». A salvarla sarà un cugino del padre, professore universitario ad Aleppo, che lo convince a portarla via: "O la ammazzano, o si ammazza"».

Amani torna in Italia, ma coi genitori non vuole avere più rapporti. Passano gli anni. «E ho cominciato a chiedermi: chi sono io per giudicarli? Forse mia madre lo ha fatto pensando di proteggermi dalla separazione che aveva subito? Voleva per me un matrimonio secondo lei più sicuro?». Amani ha 20 anni quando un giorno, attraversando la strada, incrocia la mamma. Le due donne si guardano, senza parlare. «A casa mi sono chiesta: ma è questa è l’ultima immagine, l’ultimo ricordo che vuoi avere di tua madre? Che mamma sarò io per i miei figli? E ho capito che se non l’avessi perdonata non avrei avuto pace». Devono passare altri anni perché Amani riprenda i rapporti anche col padre. «I miei fantasmi sono dietro l’angolo, non è un percorso facile, ma il rancore avrebbe danneggiato tutti, me per prima». Amani oggi lavora in Comune, e sta scrivendo il suo secondo libro dopo Siria mon amour, in cui ha denunciato il dramma delle spose bambine.

Anche Alidad Shiri ha 30 anni. È solo un bimbo di 10 a Ghazni, in Afghanistan, quando il padre, un politico, muore in un attentato assieme alla scorta. Poco tempo dopo perde sotto un bombardamento anche mamma, nonna e sorella. «Con la famiglia di mia zia - racconta - fuggiamo in Pakistan, dove loro sono ancora. A 12 anni parto per l’Iran, dove lavorerò due anni in una fabbrica di frigoriferi. Sempre di notte, perché non ho i documenti. A 14 anni un trafficante mi fa arrivare in Turchia, poi in Grecia». Patisce fame, freddo, violenze: «Un viaggio da lacrime e sangue».

Al porto di Patrasso si infila sotto a un Tir: «Così sbarco in Italia. Arrivo in Alto Adige, dove ho trovato una società civile straordinaria che mi ha aiutato». È il 2005. «Persone fantastiche mi hanno permesso di realizzare il mio sogno. Mi hanno aiutato a riprendere gli studi». Laureato in Filosofia a Trento, giornalista e scrittore, nel 2007 ha scritto Via dalla pazza guerra. Un ragazzo in fuga dall’Afghanistan. Oggi vive a Bolzano e scrive per il quotidiano Alto Adige. E gira per le scuole: «Ho un debito verso l’Italia. E verso il mio popolo, che sta attraversando un momento molto difficile e ha bisogno di aiuto. Oggi le donne afgane non possono fare più nulla, la povertà è grande. Spero che gli afgani trovino la forza di ribellarsi ai talebani. Mi sento un portavoce di tutti i rifugiati».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: