L’eredità viva di Pio La Torre sconfigge ancora le mafie
sabato 30 aprile 2022

«Occorre spezzare il legame tra il bene posseduto e i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale». Sono parole di incredibile attualità di Pio La Torre, parlamentare comunista ucciso da "cosa nostra" quaranta anni fa, il 30 aprile 1982.

Oggi la mafia è silente ma non assente ed è presente soprattutto nel tessuto economico. Lo aveva capito bene La Torre e così presentò una proposta di legge diventata poi famosa come "Rognoni-La Torre", dal suo nome e da quello del ministro dell’Interno democristiano, Virginio Rognoni. La dimostrazione di come la lotta alle mafie deve essere di tutti, non ha colore politico.

Quella proposta di legge che ha rappresentato una svolta fondamentale nel contrasto alle cosche, introducendo nel Codice penale il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, il ben noto articolo 416bis, e prevedendo il sequestro e la confisca dei beni dei mafiosi.

La Torre così lo spiegava. «Noi proponiamo di concentrare l’attenzione sull’illecito arricchimento. Perché la mafia ha come fine, appunto, l’illecito arricchimento. Allora è lì che dobbiamo mettere i riflettori».

Lo avevano capito bene Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dei quali nei prossimi mesi ricorderemo i terribili omicidi, che dicevano che «per trovare la mafia bisogna seguire i soldi». E non è un caso che Falcone fu tra i primi ad accorrere sul luogo dell’agguato a La Torre. Con Falcone anche Rocco Chinnici, il primo capo del pool antimafia di Palermo, anche lui convinto della necessità di combattere "cosa nostra" come organizzazione (il 416bis, appunto) e nel suo potere economico. Anche lui ucciso dai killer mafiosi poco più di un anno dopo, il 29 luglio 1983, con un’autobomba che anticipò gli attentati di Capaci e via D’Amelio.

Erano tutti uomini della società e delle istituzioni. Veri pericoli per "cosa nostra", La Torre in particolare per quel voler togliere le ricchezze ai mafiosi, e con esse potere e consenso.

Eppure La Torre non riuscì a vedere approvata la sua legge. A conferma delle resistenze, e non solo di allora, di una parte della politica nel riconoscere la mafia come vera emergenza nazionale.

La legge, la n.646, venne infatti approvata il 13 settembre 1982, e solo dopo l’omicidio del prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, il 3 settembre dello stesso anno.

Da quel momento sono stati confiscati alle mafie più di 36mila immobili e oltre 4mila aziende. Beni che sono diventati caserme di carabinieri e finanzieri, commissariati di Polizia, scuole, uffici comunali. E che soprattutto ospitano le attività di circa mille tra associazioni, cooperative sociali, parrocchie, gruppi scout. Belle storie di riutilizzo a fini sociali di beni che i mafiosi avevano usurpato. Sono bene comune, "casa nostra" e non più "cosa loro".

Una rinascita realizzata anche grazie alla legge 109 del 1996 che completava il percorso immaginato da La Torre. Che non era un eroe antimafia, ma un politico che aveva ben chiara la complessità della società in cui viveva e gli intrecci tra mafia, politica ed economia. Per questo si impegnò sui fronti del lavoro, della terra, della pace. Sì, della pace.

Erano gli anni della guerra e lui si oppose fortemente alla collocazione dei missili Cruise nella base siciliana di Comiso.

Era il 1981. L’anno dopo venne ucciso. C’è un legame? Alcuni approfondimenti investigativi sono stati fatti, anche da Falcone, ma senza giungere a prove certe. Restano i dubbi su interessi non solo mafiosi, come per altri "delitti politici", da Mattarella a Dalla Chiesa. Così come resta l’enorme potere economico delle mafie, frutto di passati e presenti arricchimenti illeciti. Quelli che La Torre voleva scovare, pagando con la vita.

Un impegno da ricordare e fare concreto con rinnovata determinazione, soprattutto in questi anni di crisi e di fatica per tanti, ma certo non per i mafiosi che dalle emergenze, sanitarie o belliche, hanno sempre guadagnato.

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